24 Agosto 2018
Noi abbiamo creduto e conosciuto
Qualche pensiero sul vangelo della XXI DOMENICA DEL T.O. 26 agosto 2018 (ANNO B )
a cura di Luca Rubin
Noi abbiamo creduto e conosciuto Gv 6,60-69
In quel tempo, molti dei discepoli di Gesù, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?». Dopo l’iniziale mormorio, seguono le aspre discussioni, ora chi ascolta Gesù arriva al nocciolo della questione, e giunge a confessare che: “Questa parola è dura”. E hanno proprio ragione. Anche oggi molti seguono la religione del “sentire”: fai quel che ti senti, se ti dà piacere fallo, sennò rifiutalo, lascia fluire tutto, dissolviti nel mare del nulla, cerca il tuo benessere, quello che ritieni giusto fallo. Non siamo disposti a lasciare i nostri morbidi e comodi divani, giustificandoci con espressioni come: “già la vita è così difficile”, e cresciamo senza una spina dorsale, più simili a invertebrati che a esseri umani.
Ma col Dio di Gesù Cristo ci va male: Lui è esperto di umanità, sa bene come funzioniamo, e avendoci fatti Lui, ogni dettaglio della nostra vita è sotto i suoi occhi, dentro il suo cuore. Lui sa che per vivere abbiamo necessità di uno scheletro con ossa sane e forti, ben congiunte tra loro, abbiamo bisogno di un tessuto muscolare e di un apparato circolatorio, di uno digerente, possibilmente di un cervello funzionante, di un cuore e di tutti quegli organi che permettono la vita umana. Conoscendoci così bene, si è innamorato follemente di noi, della nostra umanità, quell’umanità che noi rifuggiamo e che Lui invece ha scelto ed eletto anche per se stesso, senza filtri, senza privilegi, ma vivendo ogni nostra dimensione.
Quanto è lontano il Dio di Gesù Cristo dal dissolversi, dal fare il vuoto, Lui, così carnale e concreto, pratico… e scomodo, tanto scomodo. “Questa parola è dura”: potrebbe essere il motto della nostra vita di fede, il cartello indicatore per chi inizia il cammino con Dio. È una parola dura perché deve sostenere la vita dell’universo, la tua vita. È dura perché non è acqua fresca, ma pane sostanzioso che dà energia e forza. È dura perché è la strada in cui cammini, la pietra dove costruire casa, la spalla dove appoggiarti nei momenti difficili, la porta che ti permette di entrare e uscire tutelando la tua libertà. Altro che dissolversi!
Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? Gesù rincara la dose. Spesso quando qualcuno attacca un nostro pensiero, oppure critica la fede, più sovente la Chiesa e le sue pecche, noi cerchiamo di minimizzare, di dissimulare, di trovare una strada che aggiusti tutto. Gesù no. Se sul muro compare una crepa, Gesù sfonda il muro definitivamente. Il percorso, che è iniziato con l’incarnazione, è proseguito con il dono totale del Signore Gesù, e si completa col ritorno presso il Padre.
Questo percorso forma un cerchio, che congiunge il cielo alla terra, e porta la terra in cielo. In mezzo c’è un mondo, il nostro mondo, centro dell’azione di Dio. Rispettando la libertà personale, nel momento in cui diciamo il nostro “ok Gesù, andiamo” , veniamo accompagnati in questo vortice di bene che eleva la nostra umanità fino al cospetto di Dio, per guardarlo negli occhi, senza paura, come fa un bambino col papà.
È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. Attenzione: versetto altamente pericoloso se interpretato male. Qui non viene detto che la carne e quindi la materia sia negativa, ma la carne da sola. Sappiamo bene come il Figlio di Dio abbia assunto la nostra carne per essere uno di noi e per noi, ma quella carne, per quanto santa, non ci avrebbe giovato, se non fosse stata animata dallo Spirito, se lo Spirito non avesse vibrato in quella fibra umana, se lo Spirito non fosse stato ‘l’Unico necessario’, come san Bruno chiama Dio.
La carne è un mezzo, importante, ma il fine è Dio, il fine è la vita in Dio, e senza le ali dello Spirito… saremo come quei piccioni di città, che si accontentano della spazzatura, dimenticandosi dei cieli puliti, delle ali distese nell’aria tersa.
È quello che succede quando visitiamo un cimitero: “finisce tutto qui?”. La carne sì, ha un suo inizio e una sua fine, ma quel cerchio che Dio traccia intorno a noi risolve la nostra sete di infinito e di eternità. Il cimitero è solo una tappa, e nemmeno la più importante, sicuramente non l’ultima.
Ma tra voi vi sono alcuni che non credono. Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre. Il nodo è sempre questo: il credere, la fede, la fiducia. Anche tra persone, la fiducia è la base di una relazione, qualsiasi tipo di relazione: lavorativa, economica, sociale, affettiva. Senza fiducia non si costruisce relazione. Senza fiducia il cerchio che congiunge il cielo con la terra rimane vuoto.
Pensa a quanto potere hai: puoi dire “no, io non ci sto” al suo progetto d’amore, e quindi vanificare l’opera di Dio. L’invito è sempre valido, e se un giorno hai detto di no, puoi sempre tornare sui tuoi passi e dire, magari rosso in viso: “Signore, ci ho ripensato, eccomi qui, andiamo”, e Lui che ti sorride e ti dice: “Andiamo”. Ricordiamo sempre che una qualità di Dio, forse la più grande, è la semplicità. I complicati siamo noi.
Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». Prima di vedere questo versetto facciamo un po’ di riassunto di questo percorso a cerchio, che tanto scandalizza e blocca chi ascolta Gesù:
Davanti a questo cerchio che si chiude, dopo aver mormorato, dopo aver discusso aspramente, molti (non solo qualcuno) tornano indietro, decidono di staccarsi dal Maestro, di tornare là dove il Maestro li aveva incontrati, non per fare memoria e riprendere vigore, no, ma come atteggiamento di rifiuto e di chiusura. Queste spalle voltate, questa durezza di cuore potrebbe essere (e di fatto lo è), una stazione della via crucis, una terribile agonia per il cuore del Signore, che vede allontanarsi chi ha seguito, chi ha tutelato e amato.
Lasciano il Maestro perché la sua parola è dura, chissà cosa cercavano, forse il fornaio gratis, il guaritore, il politico che risolve tutti i problemi, il filosofo. Non lo trovano, e guardando il cerchio si rendono conto che il centro non è un’idea, una religione, ma la loro vita, da plasmare, da ri-creare sulle orme del Maestro. Non credendo, non fidandosi, tornano indietro, In un’altra pagina del vangelo Gesù invita Pietro: “Va’ dietro a me” (Mt 16,23), cioè impara ancora da me, seguimi, non andare fuori strada. Qui invece il vangelo non lascia dubbi: “tornarono indietro e non andavano più con lui”. Rifiuto totale e abbandono.
Gesù, anche qui rincara la dose: “Volete andarvene anche voi?” Gesù ripulisce il tempio dal commercio e lo rende nuovamente “casa di preghiera”, così fa pulizia tra i suoi discepoli, non perché non li voglia, ma perché senza fiducia non c’è relazione, non c’è cammino. C’è intralcio, inciampo, scandalo, mormorio, discussione. Senza fiducia si sprecano risorse immense, si dilapidano patrimoni esistenziali, si rovinano vite per correre dietro a fandonie. Gesù vuole preservare ciascuno, ma è molto chiaro: il progetto è questo, io do tutto me stesso, tu che fai? Ho tutta la pazienza e so attendere, ma tu cos’hai deciso? Basta tentennamenti, basta ‘ni’, basta mezze misure. Teodorico scrive a suo figlio san Roberto di Molesme “A Dio, o si dà tutto o non si dà nulla. Sii un santo”.
Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio». La parola dura se accolta e custodita diventa, parola di vita eterna. Ci può essere il mormorio e la discussione, lo scontro, anche il rinnegamento, ma alla fine rimane l’esperienza di Dio, il suo amore, la fiducia, la relazione, ciò che nel tempo si costruisce con Lui. Come Pietro anche noi siamo dei poveracci, impulsivi, paurosi, scappiamo, poi ritorniamo, piangiamo, professiamo la nostra fede, ma ancora, delusi torniamo alle nostre occupazioni, pensando che ormai è tutto finito, poi basta uno sguardo del Maestro a spazzare via ogni nube, a rimetterci in piedi, e ripetere, confermare il nostro sì, il nostro amen, a qualsiasi costo.
Non importa quanto sia forte la tempesta che si scatena sulle nostre teste: tentazioni, dubbi, paure, angosce: ciò che è fondamentale è rimanere ancorati fortemente alla parola dura, ma dolcissima e rincuorante, del Maestro, che è anche Signore del tempo e della storia. Lui sa cosa sta facendo, lasciamoci condurre, con un sì bello, forte e gioioso. Dio è vicino.
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