6 Maggio 2013
Monsignor Novarese, una vita per i malati

Monsignor Luigi Novarese, che verrà beatificato il prossimo 11 maggio a San Paolo Fuori le Mura in Roma, nacque a Casale Monferrato nel 1914. Guarito per l’intercessione di don Bosco da una coxite tubercolare, decise di dedicare la vita agli ammalati. E divenne sacerdote. Lavorando nella curia romana, fu assistente del cardinale Montini, il futuro Papa Paolo VI. Il suo impegno apostolico a favore dei malati lo portò a fondare il Centro Volontari della Sofferenza dopo il primo corso di esercizi spirituali per ammalati a Oropa; e poi l’ordine dei Silenziosi Operai della Croce.
Ebbi il grande dono di conoscere Monsignor Novarese a Re, nella val Vigezzo, in provincia di Verbania. Fin dal primo incontro mi colpì profondamente la sua fede che trasmetteva anche solo facendo il segno della Croce, la sua grande umiltà, la sua carità e l’attenzione a tutte le piccole necessità umane degli ammalati. Era un uomo di grande preghiera, che sempre affidava all’Immacolata ogni iniziativa e chiedeva un segno dal Cielo prima di intraprendere qualsiasi decisione. Uno dei diversi segni che accompagnarono tutto il suo cammino fu il miracolo a favore di Sorella Claudia, che confermò monsignor Novarese nell’intuizione di aprire i laboratori per la promozione anche umana delle persone impedite. Monsignor Novarese ebbe fin dall’inizio la collaborazione preziosa e nascosta di Sorella Myriam, che fino alla sua dipartita, avvenuta nel 2009 all’età di 99 anni, visse, pregò e offrì le proprie sofferenze affinché questa grande intuizione della valorizzazione della sofferenza potesse sempre più diffondersi nel mondo intero. Il 25 marzo 1976 ebbi il dono di essere presente a Re in occasione della benedizione della cappella, della cripta e dell’aula magna. Fu un momento di grande grazia, che sempre porterò nel cuore.
Quello che più mi colpì e mi rimase impresso fu proprio l’umiltà e il distacco di monsignor Novarese. Nonostante il grande lavoro, l’impegno, la sofferenza e le difficoltà incontrate per realizzare quella grande opera, non sentiva neanche un briciolo come proprio, ma tutto, diceva, era dell’Immacolata e degli ammalati. Dopo un po’ di tempo, fui pregata dall’allora assistente di accettare di essere responsabile di fratelli e sorelle. Sebbene non mi sentissi preparata per questo servizio, accettai perché ero affiancata al Responsabile ammalati, il dottor Barbalato, veramente un grande seminatore di speranza, nonostante fosse affetto da sclerosi multipla.
Iniziò, allora, la mia collaborazione con lui che non poteva né comporre il numero di telefono, né leggere – perché non riusciva a voltare le pagine – e tanto meno poteva scrivere. Così io divenni, come diceva lui, le sue braccia e le sue gambe. Questo è il compito dei “Fratelli e Sorelle”: condividere l’ideale dell’associazione ed aiutare gli ammalati ad essere soggetti attivi ed a svolgere il loro prezioso apostolato, aiutandoli là dove loro sono impediti.
Ma non era facile divulgare questo carisma dell’ammalato soggetto d’azione in una mentalità che era sempre stata formata a vederlo solo come oggetto di carità e di assistenza. A questo fine la lettera apostolica “Salvifici Doloris” di papa Giovanni Paolo II fu veramente un grande dono, perché praticamente presentò alla Chiesa quanto il nostro fondatore aveva intuito.
Sono infinitamente grata a Gesù e a Maria Santissima: per mezzo della sofferenza mi hanno fatto incontrare l’associazione del Centro Volontari della Sofferenza, dalla quale ho tanto ricevuto e continuo a ricevere.
Gemma Vignetta
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