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Chiesa  

La Chiesa dopo Benedetto XVI

La Chiesa dopo Benedetto XVI

Un anno fa Joseph Ratzinger rinunciava al ministero petrino

In data 11 febbraio 2013, Benedetto XVI manifestava in Concistoro la sua rinuncia al ministero petrino con le seguenti parole: «Dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, successore di san Pietro, a me affidato per mano dei Cardinali il 19 aprile 2005, in modo che, dal 28 febbraio 2013, alle ore 20.00, la sede di Roma, la sede di San Pietro, sarà vacante e dovrà essere convocato, da coloro a cui compete, il conclave per l’elezione del nuovo Sommo Pontefice».

Le dimissioni di papa Benedetto XVI sono un fatto senza precedenti nella storia del pontificato globale moderno: non è chiaro se queste dimissioni inaugureranno un precedente, al contrario delle dimissioni avvenute in epoca medievale e in una situazione del tutto differente. È certo però che le dimissioni di Benedetto XVI imprimono una svolta alla forma del potere del papa nella Chiesa e all’idea di papato dentro e fuori della Chiesa.
La ridefinizione in corso della “mistica del papato” come percezione diffusa del potere del papa è coerente con le traiettorie ecclesiologiche a lungo termine del Concilio Vaticano II, ma altri aspetti sono ancora ignoti.
Considerando le radici bibliche del ministero nella Chiesa, la mistica del papato è anche radicata nella comprensione del ministero papale come fusione della tradizione profetica con l’ufficio sacerdotale e la missione regale: dopo la perdita dello Stato Pontificio nel 1870, ora il papato perde un altro elemento tipico dei monarchi che muoiono in carica. In tempi recenti i papi si sono visti non solo come sacerdoti, ma anche come leader-profeti della Chiesa, specificamente nell’età del “relativismo”, in cui il contro-culturalismo sembra essere uno dei compiti peculiari della Chiesa nel periodo post-costantiniano. Ma l’atto delle dimissioni sembra cambiare il lato profetico del ministero papale: sembra renderlo trasferibile, o modificabile nel gesto profetico di ritirarsi a una vita di preghiera.
Come è noto, il canone 332 del Codice di diritto canonico prevede la possibilità delle dimissioni del papa: in questo caso la Chiesa ha mostrato che non è un sistema totalitario in cui il pontefice è un sovrano che agisce in uno “stato di eccezione”. La formula usata da Benedetto XVI per spiegare la decisione – «ingravescentem aetatem (per l’età avanzata)» richiama parola per parola il titolo del motu proprio di Paolo VI, “Ingravescentem aetatem”, che nel 1970 introduceva il limite dell’età di 75 anni per i cardinali della Curia Romana (e di 80 anni per entrare in conclave ed eleggere il nuovo papa), dopo che un documento del Concilio Vaticano II nel 1965 aveva introdotto il limite di età per i vescovi diocesani.
C’è una lettura personale di queste dimissioni: gli osservatori sarebbero stati meno sorpresi dalle dimissioni di Benedetto XVI nei primi anni del pontificato, specialmente tra 2006 e l’inizio del 2010, quelli più difficili, punteggiati dagli incidenti diplomatici del discorso di Regensburg, dal caso del vescovo lefebvriano antisemita R. Williamson, e dai riverberi degli scandali degli abusi sessuali in America e in Europa che avevano elevato Benedetto XVI a obiettivo primario, in qualche caso, anche nelle corti di giustizia.
Vi è anche una lettura funzionale su queste dimissioni che, in un certo senso, sono la testimonianza dell’esperienza conciliare di Joseph Ratzinger. Il Concilio Vaticano II fu l’inizio della ridefinizione del “profilo professionale” per tutti i ministri della Chiesa, specialmente per i vescovi cattolici di tutto il mondo: un lavoro sempre più complesso, che richiede competenze tipiche di un leader, di un mediatore, di un comunicatore esperto dei media e di un amministratore delegato, ma sempre soggetti al Vaticano e con un mandato che, per i vescovi, termina sempre a 75 anni di età. Da oggi in poi, nella teologia del papato e nella scienza canonistica qualcuno potrebbe affermare che quella legge della Chiesa sulle dimissioni dei vescovi si applica anche al papa, vescovo di Roma ma, al momento delle dimissioni, moltissime questioni restavano aperte: sul conclave, ovvero su quale sarebbe stato il ruolo del papa in esso e nella sua preparazione; sul futuro di J. Ratzinger, già Benedetto XVI, primo papa emerito; sull’agenda Ratzinger, se essa sarebbe rimasta valida per il conclave del 2013 e per il futuro papa.

Il significato delle dimissioni
A tutt’oggi, le dimissioni hanno lasciato teologicamente, spiritualmente e politicamente orfani parecchi cattolici, ecclesiastici e laici: nella Curia Romana, tra i vescovi, tra i teologi, tra i neo-conservatori italiani e americani. L’atto delle dimissioni di papa Benedetto XVI sta rimodellando il papato romano, in modo che solo un papa, e certamente non un concilio ecumenico o un sinodo, avrebbe potuto fare. Il papa ha agito in effetti «ex sese, non autem ex consensu Ecclesiae», come si legge nella costituzione sulla Chiesa “Pastor Aeternus” del Concilio Vaticano I (1870).
Questo atto del papa deve essere letto non solo nel contesto della travagliata storia del pontificato di Benedetto XVI, ma anche in un contesto di lungo periodo storico. La storia del papato è una storia di creazione poi di disfacimento e di archiviazione di titoli teologico-politici utilizzati per descrivere e rendere efficace il potere del vescovo di Roma nella Chiesa e nel mondo, molto prima che essi fossero non solo separati, ma anche distinti. Gregorio VII (1073-1085) introdusse la definizione della Chiesa romana come “omnium ecclesiarum mater”: la Chiesa di Roma non era solo il centro e il legame, ma la “madre”, la fonte e l’origine di tutte le Chiese. Con il “Dictatus Papae” (1075) Gregorio VII, praticamente, non stabilì alcun limite all’autorità papale. Il passaggio da “vicarius Petri” a “vicarius Christi” avvenne con Innocenzo III (1198-1216), perfezionato poi da Innocenzo IV (1243-1254), con la descrizione del papa come “princeps legibus solutus”.
II papato romano crebbe ulteriormente tra l’età della cristianità medievale e l’età moderna, raggiungendo l’apice nel Vaticano I e nell’età della “romanizzazione” del cattolicesimo mondiale nel secolo diciannovesimo. Questa crescita è stata possibile non solo grazie alla definizione e delimitazione dell’infallibilità e del primato petrino voluta nel Concilio Vaticano I da Pio IX, ma anche grazie a una concentrazione del potere sulla Chiesa a Roma, come mai avvenuta prima nel governo della Chiesa. Tutto questo ha continuato a crescere fino al Vaticano II, quando abbiamo avuto un primo movimento che ha cercato di ridurre questo aumento del potere e dei titoli papali. Il Vaticano II ha aperto delle micro-fratture nell’ecclesiologia del papato e dell’episcopato, che oggi hanno reso possibile il passaggio di Benedetto XVI al suo successore, con l’atto delle dimissioni.
Ciò che è accaduto tra febbraio e marzo 2013 rappresenta uno dei più recenti sviluppi nella ricezione del Vaticano II, il cui scopo era quello di ripristinare un più tradizionale (e non tradizionalista) equilibrio nella ecclesiologia cattolica. Questo significava privare il papa di alcuni titoli e poteri che l’ufficio papale si era conferiti nel secondo millennio, tra Gregorio VII e gli inizi del secolo XX. Il Vaticano II, Giovanni XXIII e Paolo VI hanno accolto come un segno della divina provvidenza la fine della Stato Pontificio e del potere temporale del papa avvenuta nel 1870. II pontificato di Giovanni Paolo II, invece, fu tipico di un padre del Concilio Vaticano II, ma solo per le questioni “ad extra”: per quelle “ad intra”, Giovanni Paolo II non vide l’ufficio di Pietro come qualcosa da cui si può dare le dimissioni, e ancor meno come un ministero da esercitare collegialmente.
Ora le dimissioni di Benedetto XVI potrebbero introdurre l’idea di un “mandato”, ridefinendo la mistica del papato moderno, ovvero quella percezione diffusa del potere del papa che si fonda su una tradizione teologica non meno che su un immaginario pubblico che tocca cattolici e non cattolici, credenti e non credenti.

Il papato del III millennio
Il papato del terzo millennio potrebbe tornare a significare qualcosa di simile al primo millennio, qualcosa che Joseph Ratzinger aveva detto più di una volta già ne1 1976, quasi venti anni prima che Giovanni Paolo II nell’enciclica “Ut unum sint” (1995) mettesse la riforma del papato sul tavolo dei rapporti ecumenici. Oppure potremmo essere in direzione di un nuovo modello più adatto a servire l’unità in un cattolicesimo che è ormai globale.
Questo atto di Benedetto XVI riconfigura la relazione tra il papato e la Curia Romana, la citta di Roma, l’Italia, i diversi continenti, la Chiesa cattolica e le Chiese non cattoliche. Vedremo come la ricezione di questo atto saprà interagire con alcuni dei lasciti del periodo post-Vaticano II come, ad esempio, i processi di canonizzazione dei papi del secolo XX e la “aura martiriale” che circonda la memoria di Giovanni Paolo II, non per il tentativo di uccisione, ma per il modo in cui è morto da papa.
Uno degli elementi nuovi della sede papale nei secoli XX-XXI è infatti la santità personale: essere un santo sembra essere diventato non tanto una conseguenza possibile dell’essere papa, ma prima di tutto uno dei requisiti per esercitare il ministero petrino. Ci si potrebbe chiedere se queste dimissioni di Benedetto XVI possano comportare una burocratizzazione strisciante del papato, a pochi anni dalla rappresentazione in Giovanni Paolo II dell’idea che “papato istituzionale” e “papato carismatico” sono entrambi parte del “munus” del vescovo di Roma, e un’idea che, nella Chiesa di Giovanni Paolo II, si è realizzata senza dubbio a scapito del carisma di tutti gli altri vescovi. D’altra parte, possiamo leggere queste dimissioni come un atto di ricezione dell’ecclesiologia del Vaticano II e di “Ut unum sint”; in tal senso, vale la pena di ricordare che la visione cattolica ed ecumenica dell’ecclesiologia del papato del Vaticano II hanno mostrato la necessità di una nuova “umiltà istituzionale” per il papato in un contesto ecumenico. Le dimissioni rendono la sede papale meno sacrale, meno carismatica e più “funzionale”. Resta da vedere se la rendono più collegiale.
Il vescovo di Roma emerito Benedetto XVI si è ritirato in un convento all’interno del Vaticano, e questa scelta non è solo perfettamente coerente con la “teologia monastica” tipica di Ratzinger, ma anche un segno di “kenosis”, nel senso di una diminuzione e negazione di se stesso.

don J. Omar Larios Valencia

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Roma 27-02-2013Square of San Peter, Vatican CityPope Benedict XVI presides over the 'last hearing in front of an excited crowd of faithfulPh: Cristian GennariRoma 27-02-2013Piazza di  di San Pietro, Città Del Vaticano  il Papa Benedetto XVI, presiede l' ultima udienza davanti ad una folla di fedeli emozionatiPh: Cristian Gennari/Siciliani

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