7 Ottobre 2013
Il “terzo mondo” ha qualcosa da insegnarci

Ottobre missionario 2013
Buona sera. Papa Francesco si introduce sovente così.
Mi piace lo stile e, almeno in questo, cerco di copiarlo; senza bisogno di citare «il Papa ha detto questo, il Papa ha detto quello».
Diogene viveva su pochi metri quadrati di questo grande mondo, davanti o dentro una botte. Si accontentava di poco cibo, preso dalle immense risorse della terra.
Un tizio che stava meglio e godeva di più (così pensava lui), gli si mette davanti; vuole aiutarlo, e gli dice «Che cosa posso fare per te?»
«Spostati! Lasciami vedere e godere quel bel sole che c’è qui davanti!».
Scrive Tolstoi: «Siedo sulla schiena di un uomo, soffocandolo, costringendolo a portarmi. Ed intanto cerco di convincere me e gli altri che sono pieno di compassione per lui. E desidero di migliorare la sua sorte con ogni mezzo possibile. Tranne che scendendo dalla sua schiena».
Due parabole laiche, cioè quelle che rispettano la libertà di tutti, secondo il linguaggio corrente, di alcuni.
Per noi cristiani c’è una terza parabola.
Un tizio mangiava e vestiva bene, troppo! Aveva qualche risorsa che si era fatta tutta col suo sudore (così pensava lui). Se la custodiva in casa sua e se la godeva, onestamente.
Qualche metro più in là, fuori della porta, Lazzaro aveva delle piaghe e non aveva da mangiare.
La condanna ed il giudizio sulla sua vita, è durissimo!
Perché non si è interessato di Lazzaro, tanto meno gli ha aperto la porta.
Mese di ottobre, mese missionario
Per noi cristiani il collegamento viene ormai spontaneo: siamo tutti invitati a guardare al terzo mondo, ai Paesi poveri.
Siamo invitati a pregare e anche a fare qualcosa per loro.
E va molto bene.
Vorrei suggerire un passo in più, un pensiero più profondo, sapendo che molta gente lo vuole, ne sente la necessità.
Ed allora facciamoci alcune domande durante le nostre messe, e specialmente interroghiamoci nei gruppi che abbiamo in parrocchia, per trovare risposte. Per tutto questo mese.
Con semplicità ed onestà.
Spostati, e lascia godere anche a me questo bel regalo che Dio ci fa, ed è per tutti: il sole.
Sappiamo che le società nel nord del mondo, col benessere costruito per sé, molto prendono dai paesi del terzo mondo; portando al nord il benessere creano povertà.
– Che cosa possiamo fare per spostarci e per permettere una vita dignitosa anche a Diogene?
– Che gesti concreti posso e mi impegno di fare per scendere dalla schiena dei poveri?
Passi visibili e chiari che testimonino che sto alzandomi, per andare a vedere Lazzaro che sta sulla porta, in silenzio.
* * *
Nella nostra casetta a Muhanga abbiamo un tavolo rotondo. Avevo visto il modello nella missione di don Gustavo Bertea e di don Giuseppe Trombotto in Brasile, e l’ho copiato.
È molto comodo perché non hai bisogno di dire continuamente «passami la bottiglia dell’acqua, passami il pane…». È sufficiente che faccia ruotare io stesso la piattaforma rotonda dove è posato tutto il cibo e mi servo. Tutti gli ospiti apprezzano molto quel tavolo, alcuni se lo son fatti a casa loro.
Immancabilmente capita! C’è sempre qualcuno che deve intervenire: stai attento, aspetta, c’è Eleonora che si sta servendo lei.
Perché mentre Piero cerca l’acqua non si accorge che Eleonora sta prendendo un po’ di spinaci.
In genere gli amici che vengono a Muhanga, o in Brasile o in Bangladesh, sono gente attenta, sensibile; han tanta voglia di impegnarsi e fare qualcosa.
Eppure capita anche a questa gente che ha tanta buona volontà…
Ha bisogno che qualcuno glielo dica: sta attento c’è anche l’altro.
* * *
Di più.
L’Africa, l’Argentina, l’ India… sono una vera scuola.
Dobbiamo riconoscerlo e darci da fare per imparare; riprenderci quello stile di vita che prima pure noi avevamo e gestivamo molto bene.
Ormai è diventato un’abitudine : gli amici che vengono a fare un’esperienza in Africa, quando rientrano a casa, tutti ce lo dicono: sono venuto perché ho voglia di dare qualcosa; ma mi sono accorto che ho ricevuto ed ho imparato molto di più di quel che ho portato.
Io son quarant’anni che cerco di copiare, vivere i modi che vedo qua; da gente molto debole, piena di difetti e debolezze, ma maestra di vita!
* * *
Stili di vita che generano gioia, creano libertà, fanno spazio per tutti.
Lunedì, tornando dall’altra missione di Kimbulu mi son fermato a Kitshumbiro dove ai mercatini le mamme vendono piccole focacce dolci, i gatò. Ne ho comprate una trentina, come d’abitudine.
Alle preghiere della sera i miei bimbi erano un centinaio. Abbiam cantato ed abbiamo pregato insieme; poi Nzoli, Washingia e Charles han portato in un vassoio le focacce fatte a pezzetti ed hanno distribuito.
Seduti, eccitati e rumorosi, ma abbastanza in ordine ognuno riceveva il gatò: allungavano le due manine per ricevere, ma il pezzetto era così piccolo che ci stava tutto in una sola manina.
Non manca mai un pochino di confusione; Nzoli allunga un pezzo di gatò alla picccola Oliva.
Oliva srotola la stoffa che le fa da abito e mostra un altro pezzetto di gatò: ce l’ho già, me lo hai già dato!
E ritira la manina.
Le era proprio di troppo il secondo pezzo?
Sono proprio sicuro che non ne avesse voglia?
Chi se ne sarebbe accorto?
Grazie, piccola – grande Oliva.
Ci insegni a vivere.
Padiri (Giovanni Piumatti)
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