30 Agosto 2022
Il messaggio per la 17ª Giornata Nazionale per la Custodia del Creato
Per la Giornata Nazionale per la Custodia del Creato uno speciale messaggio delle commissioni episcopali per i problemi sociali e per l’ecumenismo.
1° settembre 2022
MESSAGGIO PER IL TEMPO DEL CREATO (1° SETTEMBRE – 4 OTTOBRE)
«PRESE IL PANE, RESE GRAZIE» (Lc 22, 19)
Il tutto in un frammento
Quante cose sa dirci un pezzo di pane! Basta saperlo ascoltare. Purtroppo il pane ci sembra scontato: è talmente «quotidiano» da non attirare il nostro sguardo. Non si apprezza, si usa; non si guarda, si mangia. Lo consumiamo automaticamente, senza badarci.
In comunione con la Chiesa Italiana che a Matera si prepara a celebrare il Congresso Eucaristico Nazionale dal titolo: «Torniamo al gusto del pane. Per una Chiesa eucaristica e sinodale», con la 17a Giornata per la Custodia del Creato desideriamo sottolineare alcuni aspetti fondamentali del pane, mettendoci in ascolto del Signore.
«Prese il pane…»
Ogni pezzo di pane arriva da lontano: è un dono della terra. È lei che ha prodotto il grano. Il contadino lo sa: ara, prepara il terreno, semina, irriga, miete… ma non è lui a produrre quei chicchi dorati. Anche oggi, nell’epoca della meccanizzazione, della grande distribuzione e della panificazione industriale, il pane rimane ciò che è da sempre. E quand’anche i ritrovati della tecnica soppiantassero la sapienza contadina e i talenti artigianali, il pane continuerebbe a parlarci della sua identità più profonda: quello di essere un’offerta della terra, da accogliere con gratitudine.
Quando Gesù prende il pane nelle sue mani, accoglie la natura medesima, il suo potere rigenerativo e vitale; e, dicendo che il pane è «suo corpo», Egli sceglie di inserirsi nei solchi di una terra già spezzata, ferita e sfruttata. Nelle concezioni mitologiche primordiali, che ancora trovano voce nel repertorio sapienziale di molte religioni, la coltivazione della terra era accompagnata dall’offerta di sacrifici come supremo principio di compensazione e ricostruzione di un ordine violato, antidoto allo sfruttamento selvaggio dei beni naturali. Gesù stesso, Pane vero, si fa «sacrificio», lasciandosi spezzare, affinché l’uomo e l’intero cosmo ritrovino un’armonia possibile e siano insieme trasfigurati nel frutto della redenzione. Gesù si fa dono, abilitando ciascuno di noi a spendersi per custodire la terra, per prendersi cura di un’umanità sofferente.
«Rese grazie…»
Gesù, dopo aver preso il pane nelle sue mani, pronuncia le parole di benedizione e rende grazie. È la gratitudine il suo atteggiamento più distintivo, nel solco della tradizione pasquale. Essere grati è, dunque, l’attitudine fondamentale di ogni cristiano, è la matrice che ne plasma la vita; più radicalmente, è la cifra sintetica di ogni essere umano: siamo tutti «un grazie che cammina». Nel cammino sinodale facciamo esperienza che l’altro e la sua vita condivisa sono un dono per ciascuno di noi.
Ogni giorno viviamo a motivo di ciò che riceviamo: chi non si sente grato diventa ingiusto, gretto, autocentrato e prevaricatore. È quanto ci insegna la parabola del «servo ingrato» (Mt 18,23-35). Siamo tutti a rischio di diventare come colui a cui è stato condonato un debito abnorme – diecimila talenti – ma, a sua volta, è incapace di fare grazia a chi gli doveva una quantità irrisoria di denaro. E questo perché non si è fatto realmente «sconvolgere» dalla generosità del padrone, né si è lasciato invadere dalla gratitudine: ha vissuto come se non avesse ricevuto nulla; ha continuato a pretendere, tenendo stretto per sé ciò che ha ricevuto, non come dono, ma come diritto. Più che ingiusto è stato ingrato.
Chi non è grato non è misericordioso. Chi non è grato non sa prendersi cura e diventa predone e ladro, favorendo le logiche perverse dell’odio e della guerra. Chi non è grato diventa vorace, si abbandona allo spreco, spadroneggia su quanto, in fondo, non è suo ma gli è stato semplicemente offerto. Chi non è grato può trasformare una terra ricca di risorse, granaio per i popoli, in un teatro di guerra, come tristemente abbiamo constatato in questi mesi. Siamo tutti a rischio di divenire ingrati e rapinatori; ingrati ed ingiusti. E questo rispetto alla creazione, alla società umana e a Dio.
«Lo spezzò…»
Prendere il pane, spezzarlo e condividerlo con gratitudine ci aiuta, invece, a riconoscere la dignità di tutte le cose che si concentrano in un frammento così nobile: la creazione di Dio, il dinamismo della natura, il lavoro di tanta gente: chi semina, coltiva e raccoglie, chi predispone i sistemi di irrigazione, chi estrae il sale, chi impasta e inforna, chi distribuisce. In quel frammento c’è la terra e l’intera società. Ci fa pensare anche a chi non può tendere la sua mano per nutrirsi, perché non incontra la solidarietà di nessuno, perché vive in condizioni precarie: ci sono milioni di persone che attendono il nostro pane spezzato…
In particolare, spezzare il pane la domenica, Pasqua della settimana, è per i cristiani rinnovamento ed esercizio di gratitudine, per apprendere a celebrare la festa e tornare alla vita quotidiana capaci di uno sguardo grato. Come afferma Papa Francesco: «Siamo chiamati a includere nel nostro operare una dimensione ricettiva e gratuita, che è diversa da una semplice inattività. Si tratta di un’altra maniera di agire che fa parte del nostro essere. In questo modo l’azione umana è preservata non solo da un vuoto attivismo, ma anche dalla sfrenata voracità e dall’isolamento della coscienza che porta a inseguire l’esclusivo beneficio personale. La legge del riposo settimanale imponeva di astenersi dal lavoro nel settimo giorno, “perché possano godere quiete il tuo bue e il tuo asino e possano respirare i figli della tua schiava e il forestiero” (Es 23,12). Il riposo è un ampliamento dello sguardo che permette di tornare a riconoscere i diritti degli altri. Così, il giorno di riposo, il cui centro è l’Eucaristia, diffonde la sua luce sull’intera settimana e ci incoraggia a fare nostra la cura della natura e dei poveri» (LS 237).
«Lo diede»
Mangiare con altri significa allenarsi alla condivisione. A tavola si condivide ciò che c’è. Quando arriva il vassoio il primo commensale non può prendere tutto. Egli prende non in base alla propria fame, ma al numero dei commensali, perché tutti possano mangiare. Per questo mangiare insieme significa allenarsi a diventare dono. Riceviamo dalla terra per condividere, per diventare attenti all’altro, per vivere nella dinamica del dono. Riceviamo vita per diventare capaci di donare vita. «L’Eucaristia è Gesù stesso che si dona interamente a noi. Nutrirci di Lui e dimorare in Lui mediante la Comunione eucaristica, se lo facciamo con fede, trasforma la nostra vita, la trasforma in un dono a Dio e ai fratelli» (Papa Francesco, Angelus 16 agosto 2015). La condivisione così può diventare stile di cittadinanza, della politica nazionale e internazionale, dell’economia: da quel pane donato può prendere forma la civiltà dell’amore.
Torniamo, dunque, al gusto del pane: spezziamolo, con gratitudine e gratuità, più disponibili a restituire e condividere. Così ci è offerta la possibilità di sperimentare una comunione più ampia e più profonda: tra cristiani anzitutto, in un intenso respiro ecumenico; con ogni credente, proteso a riconoscere la voce di quello Spirito di cui la realtà tutta è impastata; con ogni essere umano che cerca di fondare la propria esistenza sul rispetto delle creature, degli ecosistemi e dei popoli.
Roma, 24 maggio 2022
VII anniversario dell’Enciclica Laudato si’
La Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace
La Commissione Episcopale per l’ecumenismo e il dialogo
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