22 Agosto 2011
Il messaggio del Vescovo al sinodo Valdese
Le nostre Chiese non devono svendere il Vangelo Torre Pellice. Lunedì 22 agosto il vescovo di Pinerolo, Pier Giorgio Debernardi, ha portato il suo messaggio al Sinodo delle chiese metodiste e valdesi, iniziato domenica 21 con il culto.
«Le nostre Chiese – ha ricordato monsignor Debernardi – devono stare alla scuola dell’unico Maestro, rifuggendo la tentazione di correre dietro ai miti della post modernità o di svendere la radicalità del Vangelo con la popolarità».
Un pensiero particolare lo ha riservato alla ricorrenza del 150° dell’unità d’Italia: «All’aurora del nostro Risorgimento c’è stato nel territorio pinerolese una convergenza di ideali e di prospettive tra cattolici e valdesi».
Di seguito il testo integrale dell’intervento.
MESSAGGIO AL SINODO
22 agosto 2011
* È sempre per me un arricchimento partecipare ai lavori del vostro Sinodo e conoscere il cammino che la vostra Chiesa sta compiendo.
Porto il saluto del presidente della Conferenza Episcopale Italiana, card. Angelo Bagnasco e di tutti i vescovi delle Diocesi italiane. So che molti pastori e comunità valdesi hanno rapporti cordiali e fraterni con le comunità cattoliche, con le quali condividono una esemplare ricerca di fedeltà al Vangelo.
Questo è l’aiuto e il sostegno che dobbiamo vicendevolmente offrici: la fedeltà ad una parola non nostra, ma che l’unico nostro Maestro ci ha consegnato.
«Non sono venuto per abolire, ma per dare compimento» ci dice, aggiungendo anche: «Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli». (Mt 5, 18). La “fedeltà” è la risposta della Chiesa al “sì” di Gesù che si è donato totalmente per essa sino alla morte in croce, per renderla “immacolata al suo cospetto nella carità” (Ef 1,4). Ogni Chiesa deve continuamente domandarsi: sono fedele al mio Maestro?
Per voi, questa settimana di Sinodo, è certamente un momento forte, dove la sinodalità, espressione di comunione, vi aiuta a fare questa verifica per rispondere alla nostra vocazione di essere “luce”, “sale”, “città sul monte”.
* Le diocesi italiane, in questo decennio, hanno un comune cammino indicato e segnato dagli Orientamenti che portano il titolo di “Educare alla vita buona del Vangelo”. Nell’introduzione c’è la citazione di un autore del II secolo, Clemente Alessandrino, che in un suo scritto, attribuisce a Gesù il titolo di “pedagogo”, cioè di maestro, le cui orme portano al cielo.
Gesù è il nostro unico maestro: «uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli» (Mt 23, 8). Lui solo ha parole di vita eterna. Le nostre Chiese devono stare alla sua scuola, rifuggendo la tentazione di correre dietro ai miti della post modernità o di svendere la radicalità del Vangelo con la popolarità. Gesù ha provato questa tentazione e ha risposto al tentatore citando passi della Bibbia.
L’unica via che salva è quella della croce. I più genuini e sinceri testimoni delle nostre Chiese – che hanno pagato la loro testimonianza con il martirio – forse avrebbero qualcosa da rimproverarci circa la poca fedeltà che, come singoli e come comunità, manifestiamo verso il comune Maestro.
Come vi dicevo, le diocesi italiane hanno come guida questo testo: “Educare
alla vita buona del Vangelo”, nella convinzione che “la sfida educativa” è uno dei segni dei tempi più evidenti a cui il Signore ci chiama a dare risposte come servizio d’amore alla società in cui viviamo e operiamo. Si ripete l’esperienza dell’Esodo, il tempo della formazione di Israele che da schiavo diventa popolo libero. Il cammino nel deserto ha un carattere esemplare anche per noi.
* Questo mio saluto vuole portare anche l’incoraggiamento dei vescovi italiani a continuare con fiducia il cammino ecumenico, nonostante le difficoltà, non ultima l’apatia che incontra. A volte c’è la tentazione di dire: il lavoro che stiamo compiendo non produce nulla. Aumenta perciò la stanchezza, si assommano le delusioni, il dialogo più che sinfonia sembra ripetere la babele delle lingue.
Serpeggia questo scoraggiamento. È inutile nasconderlo. Davanti ad una malattia occorre individuare una terapia. Nelle nostre Chiese troviamo certamente – da sempre – delle guide spirituali, dei terapeuti che ci indicano alcuni rimedi indispensabili e urgenti.
Innanzitutto il silenzio. Nella nostra vita personale e in quella ecclesiale. Si parla troppo anche nelle nostre Chiese. La predicazione molte volte soffoca la Parola e le parole umane – roboanti – rischiano di travolgere la parola. Mentre «tacere – soprattutto nel Culto e nella Liturgia – non significa altro che aspettare la Parola di Dio e raccoglierne la benedizione, quando sia venuta». (D. Bonhoeffer, Vita comune, Queriniana, Brescia 1991, p. 62).
Benedetto il pastore e benedetto il prete che educano le propria comunità ad accogliere nel grembo del silenzio la Parola del Vangelo.
II silenzio favorisce la preghiera, elemento indispensabile a livello personale e comunitario, come l’aria per respirare. La dimensione contemplativa è vita per la Chiesa.
Occorre domandarci se nelle nostre comunità è scomparsa questa dimensione, cioè l’atteggiamento di Maria di Betania «che si è scelta la parte migliore». Oggi il “fare” oscura se non addirittura annulla l’essere. Non possiamo testimoniare nella verità il Vangelo senza la permanente dimensione contemplativa. Questo vuol dire fare sempre più spazio all’azione dello Spirito Santo. Nel culto di inizio di questo Sinodo è stata citata una frase dell’indimenticabile patriarca Atenagora, profeta dell’ecumenismo: «Senza lo Spirito… Gesù fa parte del passato, il Vangelo rimane lettera morte. Senza lo Spirito la Chiesa è semplice associazione…».
La Chiesa non è come un’aula del parlamento, né come un insieme di politici, di sindacalisti, di promotori nel sociale. La fedeltà non si misura in base a maggioranza o minoranza. La storia delle nostre chiese ci dimostra a sufficienza che poche persone, a volte, aiutano molti a restare fedeli. La Chiesa fedele, vigilante nell’attesa del suo Signore, ha bisogno dell’anima contemplativa. Non dimentichiamo che il cammino ecumenico è iniziato da uomini e donne contemplative. Oggi, la stanchezza e lo scoraggiamento si superano se la forza della contemplazione ci permette di vedere che è possibile raggiungere la meta: la piena comunione, come la bellezza di un canto sinfonico, dove tutte le voci si armonizzano su una stessa chiave musicale; diversamente c’è solo disarmonia e cattivo suono. E questa chiave è Cristo.
* Ma per raggiungere questo obiettivo ci vuole più ascolto tra le diverse Confessioni cristiane. A volte ci si lamenta che si favorisce di più il dialogo
verso una Confessione a discapito di un’altra (forse si rimprovera la Chiesa Cattolica di colloquiare di più con l’ortodossia e non con il protestantesimo).
Solo la contemplazione ci aiuta a gustare i doni presenti nelle varie Confessioni. Non si cammina verso l’unità se non ci si ascolta, con impegno e fatica, tra le tre grandi Confessioni cristiane.
L’ascolto a volte è anche amaro, ma certamente indispensabile se si vuole crescere.
Il Card. Valter Kasper, al termine del suo mandato come presidente del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani, ha fatto una sintesi dei dialoghi ecumenici negli ultimi quarant’anni, dal titolo significativo: «se non desistiamo, a suo tempo mieteremo». È una frase presa dalla lettera ai Galati, cap 6, vers 9. Per non desistere ci vuole coraggio, è necessaria la forza che viene dalla preghiera e che solo gli uomini e le donne contemplative possiedono in maniera eminente.
* Aggiungo anche una parola sul ricordo dei 150 anni dell’unità di Italia, Questa data ci impegna a lavorare per custodire la nostra Patria “una”, libera e solidale, nella convinzione che il Nord non può vivere senza il Sud e viceversa e che solo una esigente solidarietà permette di superare gli attuali squilibri.
All’aurora del nostro Risorgimento c’è stato nel territorio pinerolese una convergenza di ideali e di prospettive tra cattolici e valdesi. A quel tempo, sia il vescovo, sia numerosi preti e laici intuirono chiaramente i segni dei tempi. In particolare il vicario generale del Vescovo Renaldi, l’abate Iacopo Bernardi, si distinse per lungimiranza e profezia, tanto da essere tenuto in grande stima anche presso la comunità Valdese. Seppe vedere che l’unità della Patria era un sogno realizzabile, credette fermamente che «non sono i feudi che sostengono la fede», si tenne sempre lontano da ideologie che tentavano di togliere la parola, “religione” dal cuore del nostro popolo, lavorò per elevare la qualità della vita umana e dell’istruzione nei vari ceti della popolazione. È un capitolo non ancora esaurientemente esplorato quello della sinergia di mente e azione nel preparare il 17 marzo 1861. Se lo si approfondisce si rivelerà certamente ricco, soprattutto per l’impegno nelle opere di solidarietà tra cattolici e valdesi.
Anche questo è un segno di speranza e di confronto, per continuare il cammino ecumenico, difficile ma bello, ieri non meno di oggi.
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