9 Ottobre 2012
Il Concilio è vivo e operante
Intervista a monsignor Loris Francesco Capovilla, segretario particolare di Giovanni XXIII Monsignor Loris Francesco Capovilla, dall’altro dei suoi 97 anni, può a tutti gli effetti essere considerato il custode del Concilio Vaticano II. E non solo per la sua indefessa attività di storico e di pastore ma in nome di un preciso mandato ricevuto da Giovanni XXIII. In una lettera dal tono confidenziale, datata 28 gennaio 1963, così scriveva il Pontefice al suo segretario particolare: «Caro monsignore, al primo tocco delle quattro di stamane, svegliatomi appena e subito messomi in materia di Concilio, mi venne in mente che stava bene pensare fino da ora ad uno “storico” futuro di questo grande avvenimento ora in corso, e che convenga scegliere bene. Ora io penso che il più indicato testimone e fedele espositore di questo “Vaticano II” sia proprio lei, caro monsignore; e nei limiti di un mandato che può venire da me – papa del Concilio – sopravvivente o defunto -, ella debba tenersi autorizzato ad accettare, come volontà del Signore questo impegno, e a fargli onore».
Monsignor Capovilla, quale è stata la parte migliore e quale invece quella più problematica del Concilio?
Ad evitare malintesi ricordo a me e a tutti che Concilio si traduce chiamata, dal verbo latino “calare”: chiamata a radunarsi insieme e ad ascoltare (shèma), a pregare e ad esultare (Gaudet Mater Ecclesia), a valutare i doni ricevuti dalla Provvidenza “per l’utilità comune” (1 Cor 12, 7). La chiamata è di Dio. L’ha affermato Paolo VI il 29 settembre 1963, alla ripresa dei lavori conciliari: «Caro e venerato Papa Giovanni. Siano rese grazie, siano rese lodi a Te che, per divina ispirazione, è da credere hai voluto e convocato questo Concilio aprendo alla Chiesa nuovi sentieri e facendo scaturire sulla terra onde nuove di acque sepolte e freschissime della dottrina e della grazia di Cristo Signore». Il meglio del Concilio, pertanto, è la divina ispirazione accolta da Giovanni XXIII, che ha convocato i Vescovi di tutto il mondo: divina ispirazione, pronta obbedienza, annuncio (Unitas et caritas), finalità precise (Humanae salutis).
Quattro sessioni. Conclusione sull’altare dell’Apostolo Pietro. Sedici documenti sottoscritti dal Papa e dai Padri. Giovanni XXIII non è rimasto solo nella risposta all’ispirazione nell’intenso periodo preparatorio, che ha accumulato incalcolabile somma di scritti e dibattiti. Nulla è stato buttato via.
Tutto serve alla storia. A ciascuno dei Padri l’onore, il merito e il premio.
Dopo l’annuncio del Concilio e nell’imminenza della sua celebrazione il Papa ha scritto nel suo “Giornale dell’anima”: «Mi sento in obbedienza in tutto e constato che il tenermi così, “in magnis
et in minimìs”, conferisce alla mia piccolezza tanta forza di audace semplicità che, essendo tutta evangelica, domanda ed ottiene rispetto generale ed è motivo di edificazione per molti». Così è stato.
Detto questo, nulla costa ammettere che noi tutti, Padri e Popolo di Dio, Osservatori invitati «ad unirsi amabilmente in questa ricerca di unità e di grazia» (25 gennaio 1959), lettori dei segni dei tempi, donne e uomini del mondo intero siamo ciascuno la sua parte responsabili del cammino più o meno felicemente compiuto.
Dalla ricezione delle quattro costituzioni fondanti, il cristiano può concluderne cos’è il meglio e il meno compreso ed attuato.
La “Lumen gentium”, rivela la provenienza, l’itinerario da percorrere, le mete da conseguire non singolarmente soltanto, ma comunitariamente; rivela inoltre il senso di comunione e di corresponsabilità.
Con la “Dei Verbum” il cristiano ha netta la visione antropologica, teologica, apostolica della propria esistenza, ed è sempre illuminato.
Con la “Sacrosanctum Concilium” apprende a pregare meglio di prima e di più, e a scongiurare l’Onnipotente di concedergli i doni di saperlo ascoltare, pregare e annunciare.
Con la “Gaudium et Spes”, il cristiano, «fattosi alunno di Dio» (Gv 6, 45), avvia colloquio fraterno con i suoi simili, convinto finalmente che la strada verso l’unità è una sola: l’amore.
Quali sono stati i grandi cambiamenti posti in essere dalla Chiesa in questi ultimi cinquant’anni?
Anzitutto la medicina della misericordia, «sapendo che l’azione di Dio sull’uomo non viene mai meno» (Pacem in terris, § 159). Poi la certezza che i “semina Verbi” sono già presenti in tutto il mondo. Compito del cristiano è di individuarli, onorarli, coltivarli (Ad Gentes, 1,11).
L’avventura di Pietro nell’incontro col centurione romano Cornelio è perenne lezione e indirizzo di servizio pastorale: «In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenza di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia a qualunque nazione appartenga» (Atti 34-35).
Frutto del Concilio è l’espandersi del volontariato con tale slancio di donazione da meritare la cifra dell’autenticità cristiana.
I papi e la gerarchia cattolica, in questi 50 anni, hanno favorito o in qualche modo frenato l’applicazione del Concilio?
Nessun dubbio circa la fedeltà all’impegno originario, con piena convinzione che «il Concilio ha indicato nuovi sentieri e fatto scaturire sulla terra onde nuove di acque sepolte e freschissime» (Paolo VI). Giovanni Paolo si è spinto più in là asserendo che, col Concilio, «Giovanni XXIII ha aperto una nuova pagina di storia della Chiesa». Il Concilio è vivo e operante. Esso reca il sigillo dell’anello del pescatore: cinque Papi. Secondo l’oracolo profetico l’universalità è l’ambito dell’evangelizzazione: «Allarga lo spazio della tua tenda, stendi i teli della tua dimora senza risparmio” (Is 54, 2). «Le tue porte saranno sempre aperte, non si chiuderanno né di giorno, né di notte, per lasciare entrare in te la ricchezza delle genti» (Is 60 11). Sì. Porte aperte. Lo affermo con lo stesso amore professato alla Chiesa quando decenne fui ammesso tra gli aspiranti dell’Azione Cattolica che mi rese fiero di essere cristiano e mi pose in trepida attesa di volontario servizio. Mi si diceva allora: Non sei membro attivo del Movimento. Lo diverrai a 14 anni se rimarrai solidale col Papa, col tuo Vescovo, col tuo Parroco.
Credo alla grazia di stato. In modo singolare il Papa ne è ampiamente provvisto. A Pietro, Gesù ha rivelato: «Io ho pregato per te perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli» (Le 22, 32).
Venero i Papi della mia lunga vita e provo nei confronti di ciascuno qualcosa che va al di là della fede e dell’amore ed è inesprimibile.
Custodisco il ricordo intimo e sacro del primo incontro di Giovanni XXIII, con monsignor Guglielmo Carozzi, familiarmente chiamato don Gelmo, suo conterraneo, compagno di studi a Bergamo e a Roma sino alla laurea. Senza alcuna fretta, solo tre mesi dopo l’elezione, Carozzi viene all’appartamento pontificio. Si butta in ginocchio e bacia i piedi al suo antico compagno. Il Papa lascia fare, allarga le braccia e visibilmente emozionato sussurra lentamente: «Don Gelmo, che fai? Ricordi le nostre mamme in parlatorio, in visita a noi seminaristi, i loro sguardi, le parole, le raccomandazioni?» Don Gelmo congiunge le mani come un bimbo, mette i suoi occhi negli occhi del Santo Padre e balbetta con incantevole candore: «Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia chiesa» (Mt 16, 28).
Proprio per ringraziare Benedetto XVI; e tutti coloro che ne condividono il servizio e la croce in quest’epoca meravigliosa e tormentata del post-Concilio, anch’io, vecchio pellegrino prossimo all’approdo, nonostante ore di pena e quasi angoscia, ripeto convintamente e gioiosamente: «Tu sei Pietro. In te Cristo ha stabilito il principio e il fondamento perpetuo e visibile dell’unità della fede e della comunione».
Loris Francesco Capovilla è nato a Pontelongo (Padova) il 14 ottobre 1915. Dal 1953 segretario particolare del Patriarca cardinal Angelo Roncalli a Venezia, e a Roma di Giovanni XXIII per un decennio; per quattro anni ancora accanto a Paolo VI che nel 1967 lo ha nominato arcivescovo metropolita di Chieti e Vasto in Abruzzo e, successivamente, delegato pontificio al Santuario di Loreto.
Vive a Sotto il Monte, dove custodisce la memoria del Papa bergamasco.
L’ultima sua pubblicazione è una edizione de La Scuola: “Ricordi dal Concilio, siamo appena all’aurora”.
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