27 Giugno 2014
Il cattolicesimo italiano prima del concilio: fermenti e dissensi
22 giugno 2014
Nell’ottobre 1932 usciva a Parigi la rivista “Esprit” nata per delineare un movimento che poneva l’accento sull’efficacia dei “mezzi spirituali” nell’impegno contro “il disordine costituito”.
Due anni dopo lo stesso Emmanuel Mounier scriveva: “La rivoluzione personalistica e comunitaria”. Nel 1936 Jacques Maritain pubblicava il suo testo più famoso “Umanesimo integrale”, edito in Italia soltanto nel 1946; il domenicano Henry De Lubac scriveva “Cattolicesimo: gli aspetti sociali del dogma”, edito in Italia solo nel 1948. E Dominique Chenu pubblicava il suo trattato sulla teologia del lavoro.
Di Georges Bernanos a sua volta usciva “Scandalo della verità” contro l’appoggio di molti cattolici alla conquista fascista dell’Abissinia e alla Spagna franchista, Mouriac era noto per il romanzo contro le dittature di quegli anni: “Nido di vipere”.
Iniziava così nella Chiesa cattolica francese quel mutamento di prospettive e di atmosfera ancora poco presente in Italia. Il clima concordatario del 1929 aveva dato il silenziatore a molte voci di dissenso interno alla vita nella Chiesa che erano iniziate sin dalla fine dell’800 con il “Modernismo” che era stato messo a tacere con la condanna.
Nel dopoguerra, dal 1945 al 1960, il professor Luigi Gedda ha in mano pressoché tutto il laicato cattolico italiano organizzato. Egli crea varie associazioni di settore, costruisce opere, indìce grandi convegni con una fertilità organizzativa e istituzionale veramente prodigiosa. Le prima voci di dissenso però incominciano a farsi sentire anche in Italia.
Nando Fabro a Genova fa nascere i quaderni del “Gallo”, a Firenze nasce la rivista “L’ultima”; a Milano è edito “L’uomo della Corsia dei servi” e vengono diffuse le opere del padre Davide Maria Turoldo, di don Divo Barsotti, dei padri Nazzareno Fabretti, Ernesto Balducci, Camillo Dal Piaz e Benvenuto Matteucci.
Erano pagine di costume, ma anche semi di contestazione che chiamavano in causa la inattualità del comportamento dei cattolici che venivano stimolati ad uscire da un cattolicesimo “pacificato” per un cattolicesimo “inquietante”.
Da Mazzolari a Nomadelfia
Nel 1943 don Primo Mazzolari aveva pubblicato “Impegno con Cristo”, opera tartassata e mutilata sia dalla censura civile che da quella ecclesiastica.
Nel 1949 la comunità di Nomadelfia è sulla cresta dell’onda. Don Zeno Saltini, il fondatore, rifuggiva dalla pratica dell’istituto e del collegio perché raccoglieva i ragazzi per farli entrare in famiglie che vivevano in una unica grande comunità, dove il lavoro era un dovere perché aiutava a realizzare la somiglianza con Dio creatore e gli stipendi venivano messi in comune.
Sul piano sociale e politico, già nel 1946, erano incominciate, su invito di Adriano Olivetti, le prime comunità laiche nel Canavese. Nate nei piccoli paesi si occupavano delle necessità locali, suscitavano iniziative e cercavano di risolvere i problemi senza far ricorso allo Stato. Era un modo nuovo di fare politica, non attraverso i partiti fortemente ideologizzati e organizzati, ma dando la priorità alla responsabilità e alla partecipazione personale.
Il 1949 fu un anno caldo. A Venezia, al Congresso della D. C., Giuseppe Dossetti ripropose il tema a lui congeniale: se il partito non deve rinunciare alla sua ispirazione cristiana, deve in qualche modo collocarsi “contro il disordine stabilito” e elevato a sistema sociale.
La rivista “Adesso” di don Mazzolari sosteneva che occorreva fare la “rivoluzione cristiana”, perché la società doveva essere ricostruita dalle fondamenta e non solo ripetere il vecchio modello liberal-democratico.
Un terremoto nell’Azione Cattolica
Tutto questo non poteva non portare certe conseguenze nell’Azione Cattolica e soprattutto nel settore giovanile. La presidenza centrale della Gioventù Cattolica conosceva quanto avveniva all’estero da parte dei cattolici sul piano ecclesiale e su quello sociale e aveva avviato un lavoro di critica e di autocritica di non poco peso all’interno della stessa associazione.
Don Arturo Paoli, vice assistente e Carlo Carretto, presidente, dopo vari incontri con i dirigenti al Nord, al Centro e al Sud, nell’aprile 1952 esposero senza reticenze il loro pensiero che consisteva in un appoggio critico alla politica del momento e in una conseguente richiesta di maggior responsabilità autonoma dei cristiani nelle scelte politiche, considerati “non più clero di riserva”. Don Arturo Paoli, che aveva un forte seguito culturale, dovette lasciare l’incarico e partì con gli emigranti sulle navi per l’America Latina. Carlo Carretto, nell’ottobre dello stesso anno, dovette lasciare la presidenza e se ne andò nel deserto per rimeditare le ragioni della sua vita, della fede e del Vangelo, unendosi ai Piccoli Fratelli di Gesù del padre De Foucauld. A sostituirlo Gedda chiamò a Roma il dottor Mario Rossi, presidente diocesano di Rovigo, il quale cominciò il suo servizio vedendo, da Roma, la situazione che si era venuta a creare in Italia, con lo sviluppo del dissenso dalla linea Gedda e nel gennaio 1954 anch’egli dette le dimissioni e con lui tutti i dirigenti nazionali della GIAC. Rossi si trasferì in Belgio come medico tra i minatori. Erano i “giorni dell’onnipotenza”, come li chiamò in un suo libro dove ricostruì quegli anni. Intanto il fermento aumentava nella cristianità italiana. A Firenze Nicola Pistelli faceva nascere la rivista “Politica”, padre Balducci creava testimonianze, Mario Rossi collaborava con “Adesso” di Mazzolari, Vladimiro Dorigo apriva la rivista “Questitalia”.
Monsignor Montini seguiva con attenzione questi nuovi fermenti e spesso fece sentire il suo dissenso dai molti “conservatori” che erano nella Curia romana. Era noto il suo sostegno alla linea politica di De Gasperi e la sua grande amicizia con Aldo Moro, Amintore Fanfani, Giuseppe Dossetti e Giorgio La Pira.
Intanto si veniva sempre più chiarendo la distinzione tra azione cattolica e azione politica, tra evangelizzazione e organizzazione ecclesiale. Gedda, con le sue innegabili capacità organizzative e suscitatore di entusiasmi, aveva portato l’Azione Cattolica ad un grande sviluppo sia durante il fascismo che nell’immediato dopoguerra. Egli manifestava fiducia nella forza del numero per la “difesa” dei valori cristiani e aveva visto nelle elezioni politiche del 1948 l’ultima trincea del cattolicesimo in Italia e per questo aveva invitato i cattolici, attraverso la creazione dei comitati civici, a battersi senza riserve in quell’azione di difesa in cui l’azione politica e la vita ecclesiale purtroppo si confondevano. I cattolici del dissenso erano preoccupati perché l’azione religiosa veniva a coprire l’insufficiente azione politica. La editrice “Studium” dei laureati cattolici poneva pensosi interrogativi a questa linea e molti intellettuali fecero sentire il loro disagio sulle stesse riviste cattoliche. Il ruolo del laicato cattolico era al centro delle riflessioni di Giuseppe Lazzati.
Una chiesa in movimento
Intanto, dopo il 1954, cominciavano ad essere noti i gruppi dei “Focolarini”, le “Fraternità del De Foucauld” e da Milano nasceva “Gioventù studentesca” che, pur ponendo l’accento sullo spirituale, dava enorme importanza ad una presenza attiva ed organizzata nella scuola e nella società. I Focolari erano invece una contestazione alla strategia apostolica dominante; le fraternità del De Foucauld vivevano nella semplicità, nella povertà e la “contemplazione sulle strade”. Si sviluppavano anche “La Legio Mariæ”, i “Gruppi Rinascita”, si diffondevano le “Congregazioni mariane”, il militantismo dei “Legionari di Cristo”, l’impegno professionale dell’ “Opus Dei”, lo zelo mistico dei “Carismatici”, l’autonomia rituale dei “Catecumeni”, tutti movimenti diversi, ma uniti nella devozione al Papa. La grande organizzazione del laicato, qual era sino allora l’Azione Cattolica incominciava a subirne le conseguenze e perdeva consensi.
Fioriva la stagione dei “gruppi”, ciascuno con forte autonomia. Disseminati nelle città, con scarsissimi collegamenti tra di loro. Sarà l’atmosfera del Concilio il terreno fecondo per il loro affermarsi.
Tempi di dissenso
Il dissenso ecclesiale, manifesto o coperto, e quello civile venivano portati avanti insieme.
Le idee sul rinnovamento della Chiesa si intrecciavano con le dichiarazioni contro l’unità politica dei cattolici e il perdurare del predominio democratico-cristiano veniva giudicato come causa primaria dell’immobilismo dei paese sul piano dell’economia, della politica, della cultura, della funzionalità dello Stato.
Le proteste contro “l’autoritarismo” della Chiesa si accompagnavano alla condanna dei privilegi concessi dal Concordato del 1929, posto sotto accusa.
Spirituale e temporale: una presenza su due fronti, caratterizzava la contestazione dei gruppi cattolici italiani del dissenso rispetto a quella degli altri paesi che tenevano distinti i due ambiti.
L’orientamento dei Gruppi sempre in diaspora dopo il 1965 si sviluppò sempre più sul piano culturale, con una forte distinzione tra “azione spirituale e temporale” (Maritain); sulla “non violenza attiva” derivante dal popolo indiano (Gandhi) e infine cresceva, anche nella lettura delle opere di Mounier, di G. B. Metz, Congar, Danielou, Peguy, Bloy, una riflessione che preparava all’azione e non riduceva lo “spirituale” ad un disimpegno del cristiano, in quanto cittadino della società civile, in travolgente trasformazione.
La “Nouvelle théologie” cresciuta in Francia e il fondamentale lavoro teologico di Romano Guardini aprivano nuovi orizzonti e in politica si voleva combattere il “disordine costituito” così inveterato da apparire l’ordine sociale definitivo, mentre la società viveva profonde trasformazioni.
Il tempo del Concilio (1959 annuncio – 1962 inizio – 1965 conclusione) porterà grandi fermenti nella Chiesa e una spinta per il suo rinnovamento quale forse mai in passato si era verificato. Il percorso del Concilio non fu indolore, ma la speranza di un passo eroico della Chiesa imponeva anche a tutti i cattolici del dissenso un ripensamento.
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