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Chiesa  

In ascolto del buon Pastore

In ascolto del buon Pastore

Commento alle letture della IV Domenica di Pasqua, anno C a cura di Carmela Pietrarossa. Domenica 17 aprile 2016

 

“Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono” (Gv 10,27-30).

 

Gesù in questa giornata che la Chiesa dedica alla preghiera di intercessione e di lode per le vocazioni, ci propone l’identikit dell’apostolo: colui, cioè, che ascolta la sua voce e, quindi, lo segue.
Subito, dunque, si impone una relazione imprescindibile tra tre termini: silenzio, voce e ascolto.
Per ascoltare, infatti, è indispensabile fare silenzio e non solo silenzio esteriore, evitando di interrompere il nostro interlocutore, ma soprattutto silenzio interiore, liberando il cuore e la mente da distrazioni, preconcetti, presunzione di sapere già tutto, per lasciare spazio alla Parola.
La voce, invece, è la tonalità della parola, strumento indispensabile per comunicare la stessa. “Fammi sentire la tua voce perché la tua voce è soave” (Ct 2,14), si legge nel Cantico dei cantici.
L’amata vuole sentire la voce dell’amato, ha bisogno di quella voce come dell’aria che respira perché vive per la persona amata. Infatti, “Se la parola trasmette qualcosa che appartiene alla mente, la voce rivela il battito del cuore. La voce di cui parla il vangelo comunica il battito del cuore di Gesù” (Luigi Pozzoli). Sentiamo l’urgenza, dunque, di ascoltare profondamente questa voce per cogliere la vibrazione del cuore che la muove.
Gesù, poi, conosce profondamente le sue pecore, questa conoscenza nel linguaggio biblico rimanda proprio all’intimità con la persona amata, che contraddistingue il rapporto di coppia.
Le pecore ascoltano la voce del Pastore perché sanno di essere conosciute e amate, per questo si fidano e lo seguono.
Ascolto e sequela sono, pertanto, due aspetti imprescindibili della vita del chiamato: la meditazione della Parola, accolta nel proprio cuore, non può che sfociare nella sequela, nell’obbedienza, cioè, a quanto quella Parola dischiude nel cuore di chi ascolta.
Di quale obbedienza si tratta? Obbedire dal latino “ob audire”, cioè, ascoltare davanti, stando in piedi (ob oculos significa, infatti, davanti agli occhi).
L’obbedienza che viene richiesta dal brano evangelico non è, infatti, una sequela che prescinda dalla nostra volontà, ma al contrario la presuppone qualificandola; è un’obbedienza libera e consapevole. Obbedire “stando di fronte”, come evidenziava don Tonino Bello, è dire di sì al Signore nella nostra vita con tutta la libertà che il Signore ci ha donato e di cui non ci priva mai: “Ascoltare stando di fronte. Quando ho scoperto questa origine del vocabolo, anch’ io mi sono progressivamente liberato dal falso concetto di obbedienza intesa come passivo azzeramento della mia volontà, e ho capito che essa non ha alcuna rassomiglianza, neppure alla lontana, col supino atteggiamento dei rinunciatari” (Don Tonino Bello, in Maria donna dei nostri giorni).
L’obbedienza a Dio non intristisce, non diminuisce la nostra passione per la vita che è un dono grande che va sempre vissuto intensamente ed in pienezza; essa ci consente di muoverci sulla linea di Dio, rispondendo generosamente al suo disegno di amore per ciascuno di noi. Il Signore ci restituisce continuamente dignità, mette ordine nelle nostre esistenze e fa sempre sorgere il sorriso sui nostri volti.
«Chi obbedisce non annulla la sua libertà, ma la esalta. Non mortifica i suoi talenti, ma li traffica nella logica della domanda e dell’offerta. Non si avvilisce all’umiliante ruolo dell’automa, ma mette in moto i meccanismi più profondi dell’ascolto e del dialogo. C’è una splendida frase che fino a qualche tempo fa si pensava fosse un ritrovato degli anni della contestazione: “obbedire in piedi”. Sembra una frase sospetta, da prendere, comunque, con le molle. Invece è la scoperta dell’autentica natura dell’ obbedienza, la cui dinamica suppone uno che parli e l’altro che risponda. Uno che faccia la proposta con rispetto, e l’altro che vi aderisca con amore. Uno che additi un progetto senza ombra di violenza, e l’altro che con gioia ne interiorizzi l’indicazione. In effetti, si può obbedire solo stando in piedi. In ginocchio si soggiace, non si obbedisce. Si soccombe, non si ama. Ci si rassegna, non si collabora» (Don Tonino Bello, ibid).
Tale è l’obbedienza che ci viene richiesta.
Doni il Signore alla sua Chiesa chiamati “obbedienti” con “l’odore delle pecore” (Papa Francesco), che, innamorati di Dio, siano mossi dal desiderio di ascoltarne la voce, traducendola nella vita in gesti generosi di condivisione.
B. Domenica!

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