31 Gennaio 2012
Don Bosco a Pinerolo
Il contributo dei novizi salesiani di Monte Oliveto Il messaggio del sacerdote torinese, che visitò più volte la diocesi di Pinerolo, conserva ancora oggi tutta la sua attualità. In tre brevi articoli i novizi salesiani di Monte Oliveto offrono una panoramica su don Bosco: la sua presenza e le sue opere nel territorio pinerolese, la sua attività di educatore e il suo apostolato nell’oratorio.
Nella diocesi di Pinerolo
Don Bosco si è recato o è passato nel corso della sua vita nella quasi totalità delle città e dei paesi del Piemonte. Egli passò e sostò più volte a Pinerolo e in molte altre località della diocesi. Grazie al clima mite e salubre vi si ritirava per ottenere riposo e lenire i dolori delle sua infermità. Nelle “Memorie Biografiche”, opera monumentale in venti volumi che racchiude i momenti salienti della sua vita, si narrano in particolare tre viaggi che egli compì nella nostra diocesi.
Giovane studente a Chieri il chierico Giovanni Bosco raggiunse per la prima volta la città di Pinerolo nella settimana santa del 1835 quando, dopo una sosta a Barge per salutare un suo vecchio insegnante della scuola pubblica, si recò presso la casa della famiglia Strambi per visitare il suo caro amico Annibale. Egli rimase incantato dell’ameno territorio e della bellezza delle vallate della diocesi. Con l’amico si recò in gita fino a Fenestrelle. Questa settimana di vacanza che trascorse in diocesi non fu importante tanto per quello che egli fece ma per l’apprezzamento per il territorio e l’affetto che pian piano crebbe verso questa diocesi e città. Saranno numerosi, infatti, i viaggi che egli compì a Pinerolo tra il 1836 e il 1868.
Don Bosco ritornò per più di un mese a Pinerolo nel 1884. Allora fu ospite del vescovo Filippo Chiesa che lo accolse nella sua villa sul Colle San Maurizio. Il soggiorno e la pausa dalla frenetica vita di Torino gli era stata suggerita dal medico per interrompere il ritmo della vita torinese. In questo periodo di soggiorno, fu di particolare importanza la visita che il prete di Valdocco effettuò, in compagnia del Vescovo, al monastero della Visitazione.
Ne 1886, per motivi di salute, don Bosco venne nuovamente ospitato da monsignor Chiesa presso la sua villa. Nel XVIII volume delle “Memorie Biografiche” si riporta un felice aneddoto che si avverò profeticamente nel futuro.
“Un mattino sull’alto colle denominato del Martire della legione Tebea [l’attuale colle di San Maurizio] si fermò a contemplare il bellissimo panorama e vedendo di fronte sopra un poggio isolato un caseggiato cospicuo disse: – Oh,come è bello e incantevole quel monticello con quel magnifico fabbricato. Come sarebbe adatto per un collegio salesiano! Era Monte Oliveto, dove sorgeva un edifizio appartenuto già ai Gesuiti e più tardi ai Certosini, ma allora proprietà demaniale. Don Albera vi aperse nel 1915 un asilo per orfani della grande guerra e il suo successore [il beato Filippo Rinaldi], venuto col tempo a cessare lo scopo primitivo, v’istituì un noviziato salesiano” (Memorie Biografiche, Eugenio Ceria, vol. XVIII, pag. 170).
Oggi i figli di don Bosco, i Salesiani (SDB), sono presenti a Pinerolo con il noviziato e la Parrocchia “Santo Spirito” e nella realtà di Cumiana (con scuola Secondaria di 1° grado paritaria e liceo scientifico paritario). Le Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA), fondate da don Bosco e da Maria Domenica Mazzarello, operano pure a Cumiana e a Perosa Argentina. La presenza di queste comunità religiose è forse un segno tangibile di come don Bosco continui a guardare con favore il nostro territorio.
Educare alla fede
Il motto con cui don Bosco identificava la sua variegata attività e con il quale ha voluto pure che si riconoscessero i suoi figli è: “da mihi animas cetera tolle”. Dammi le anime e prenditi tutto il resto. Giovanni Bosco è stato prima di tutto un pastore e un sacerdote e in secondo luogo un educatore. O meglio: un pastore il cui apostolato è inestricabilmente connesso con l’educazione. E con l’educazione alla fede.
Egli era totalmente sicuro che la salvezza dell’anima attraverso la fede fosse una questione estremamente urgente per ogni essere umano e per un cristiano in modo particolare. Niente si può anteporre a questa “emergenza”. A motivo di essa ci si gioca la felicità in questa vita e per l’eternità. A motivo della stessa, un pastore è disposto a fare qualsiasi sacrificio. Anzi, su di essa, verifica l’autenticità della sua vocazione, mette alla prova la sua fede e saggia la qualità del suo servizio apostolico.
Don Bosco sapeva benissimo di essere un umile strumento nelle mani di Dio. Lui solo salva, Lui soltanto dona la fede e Lui solo educa i suoi figli. Come sacerdote, deve solo amare con lo stesso amore di Dio facendosene segno e portatore amabilissimo. E questo, in sintesi, è il fulcro del metodo pedagogico che don Bosco ha scelto a fondamento della sua prassi pastorale ed educativa. Quello che san Giovanni Bosco ha definito sistema preventivo – inteso come percorso di educazione alla fede caratterizzante il carisma salesiano – non è altro che la realizzazione dell’amore preveniente di Dio stesso che per primo ci ha amati e continuamente ci ama.
Don Bosco era persuaso che educare alla fede significava accompagnare un essere umano alle più alte vette dell’umanità portando a compimento il progetto della creazione e che il suo “metodo” si ispirava semplicemente alla Rivelazione divina e all’agire di Dio. Forse, anche per questo motivo (oltre che per la sua intelligenza pratica e alla mancanza di tempo) era restio a scriverne o a esplicitarlo. Per lui, educare alla fede, era compito naturale e allo stesso tempo imprescindibile di ogni sacerdote.
Gabriele Quinzi
L’oratorio è cosa di cuore
«I giovani non solo siano amati, ma che essi stessi conoscano di essere amati». Queste righe così belle e scritte con il cuore sono il messaggio principale di una lettera molto famosa che don Bosco scrive ai suoi salesiani. In queste poche righe don Bosco delinea lo scopo fondamentale di tutte le sue opere, di cui l’oratorio è la principale, e di tutte le attività che in esso si svolgono: la felicità dei giovani. E per don Bosco la felicità non era un’idea astratta ma una persona concreta: Gesù Cristo.
Nel nostro Dio che è amore, don Bosco, ha trovato la chiave per salvare molti giovani e lo dimostra con la sua famosa espressione “l’educazione è cosa di cuore”. Il metodo di don Bosco fondato sui tre pilastri della ragione, della religione e dell’amorevolezza è stato un metodo vincente per risolvere i problemi, non solo religiosi, ma anche sociali, politici ed economici del suo tempo. Infatti dagli oratori di don Bosco non solo sono nate vocazioni religiose ma son usciti soprattutto “buoni cristiani e onesti cittadini”.
Oggi i giovani hanno bisogno di educatori appassionati che si prendano cura di loro, che rispondano alle loro esigenze, che li aiutino a sognare in grande e a non accontentarsi di una vita mediocre, che li aiutino a rompere quel muro di superficialità buttatogli addosso dal mondo in cui viviamo e che non abbiano paura di investire tempo e risorse con loro.
Nell’oratorio il sacerdote deve essere e la guida e il motore ma, e lo dimostra la vita di don Bosco, ma il ruolo dei laici è sempre stato fondamentale. È importante risvegliare le comunità perché non siano chiuse in sé stesse, ma aperte, missionarie, luoghi dove sacerdoti e laici possano collaborare fruttuosamente. Don Bosco era un sognatore, aveva il cuore in cielo ma i piedi ben saldi a terra. Sapeva che avrebbe affrontato una sfida molto esigente ma non ha avuto paura. Il suo esempio resta oggi assolutamente attuale e percorribile.
Dida: Don Bosco ritratto in una fotografia d’epoca
Monte Oliveto visto dal colle di San Maurizio
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