13 Luglio 2013
Che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?

Commento al Vangelo della XV Domenica del tempo ordinario a cura di Carmela Pietrarossa.
“Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?” (Lc 10, 25-37)
Da questa domanda rivolta da un dottore della legge a Gesù per metterlo alla prova, prende l’avvio la parabola del buon samaritano, di colui, cioé, che si fa prossimo del malcapitato che scendeva da Gerusalemme a Gerico e che viene derubato e percosso a sangue dai briganti.
Un sacerdote ed un levita lo vedono e passano oltre, il samaritano, invece, lo vede e ne ha compassione, gli si fa vicino, gli fascia le ferite prendendosi cura di lui.
Questa parabola, sulla quale siamo chiamati a confrontarci questa domenica, dice la verità del nostro essere cristiani e del nostro cristianesimo in generale.
Non le parole, gli scritti, le omelie o i bei discorsi oculatamente preparati a tavolino, ci apriranno le porte del regno, bensì le opere, perché, ci direbbe S. Giacomo, “se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: “Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi”, ma non date loro il necessario per il corpo, che giova? Così anche la fede: se non ha le opere, è morta in se stessa” .
Essere cristiani non significa indossare una veste o un distintivo, ma appartenere a Cristo e comportarsi come lui si é comportato e sappiamo bene che l’unica legge che Gesù ci ha lasciato è quella dell’amore con la A maiuscola, di quell’amore, cioé, che non tiene le mani in tasca, che non si risparmia, ma che si dona senza sosta trasformando anche i piccoli gesti quotidiani in atti di amore e di attenzione.
Saremo giudicati sull’amore, quello vero che si china sul fratello ferito, lo accoglie, con lui condivide le sue cose, consapevole che esse gli sono state soltanto affidate dalla Provvidenza per diventare mezzo e strumento per far circolare il bene.
Il cristiano delle liturgie, talvolta, non coincide con quello descritto nel Vangelo, dovendo la liturgia aiutarci ad incontrare gli uomini; se manca questo incontro-confronto con i nostri compagni di viaggio anche le nostre liturgie non hanno ragion d’essere, possiamo tranquillamente farne a meno. Le belle parate, infatti, non piacciono al Signore, a lui interessa la felicità dell’uomo per la quale ha sparso tutto il suo sangue e che vuole con sè nella gloria.
Rileva evidenziare, tuttavia, che saremo capaci di amare se avremo sperimentato l’amore; più lo viviamo e più siamo in grado di trasferirlo agli altri.
Il Signore ci conceda di fare esperienza del suo amore anche attraverso i nostri fratelli, per diventare noi stessi come il samaritano della parabola.
Buona domenica in famiglia!
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