1 Ottobre 2013
Forse non lo sai ma anche questo è amore

01 ottobre 2013
Potrebbe essere il paradosso di un cercatore d’oro. Di quelli che si avventuravano lungo i fiumi con un setaccio in mano e la speranza di far fortuna. Un cercatore ingannato, però. Quello che – per uno scherzo crudele giocatogli da compagni invidiosi – è stato convinto che il prezioso minerale sia di colore blu. E lui, seduto su una miniera di inestimabile valore, continua a gettare alle sue spalle le pagliuzze gialle e lucenti accumulando un tesoro del quale non godrà mai. E ogni giorno, nella vana ricerca di qualcosa che ha già ma non sa di avere, il suo lavoro diventa più pesante, frustrante, insopportabile.
Allo stesso modo, gli uomini e le donne del nostro tempo spesso continuano ad inseguire un miraggio che li conduce a catastrofi relazionali e famigliari. Alla base dell’equivoco c’è un fraintendimento, un inganno sul significato dell’amore. Che cosa significa amare? Secoli di storia, di letteratura e di arte, in una parola, di cultura hanno sovraccaricato questa parola di molteplici significati. Ma, per altri versi, l’hanno anche depauperata mettendone in evidenza solo alcuni aspetti. I mass media, con le dinamiche comunicative che li contraddistinguono, hanno giocato un ruolo fondamentale in questa opera di risignificazione e in parte di banalizzazione dell’amare. Risultato: a galla sono rimasti i lustrini che, da soli, si sono accaparrati la totalità dei significati della parola. A fondo – e quindi a rischio invisibilità – è sprofondata la sostanza dell’amare. Che cosa significa dunque amare?
Benedetto XVI dedicò la sua prima enciclica, “Deus caritas est”, proprio a questo tema, non evitando alcune precisazioni terminologiche. «All’amore tra uomo e donna – si legge nel testo – l’antica Grecia ha dato il nome di eros. Diciamo già in anticipo che l’Antico Testamento greco usa solo due volte la parola eros, mentre il Nuovo Testamento non la usa mai: delle tre parole greche relative all’amore — eros, philia (amore di amicizia) e agape — gli scritti neotestamentari privilegiano l’ultima, che nel linguaggio greco era piuttosto messa ai margini. Quanto all’amore di amicizia (philia), esso viene ripreso e approfondito nel Vangelo di Giovanni per esprimere il rapporto tra Gesù e i suoi discepoli. La messa in disparte della parola eros, insieme alla nuova visione dell’amore che si esprime attraverso la parola agape, denota indubbiamente nella novità del cristianesimo qualcosa di essenziale, proprio a riguardo della comprensione dell’amore».
Oggi, invece, l’eros sembra essere diventato il tutto dell’amore, a scapito della dimensione amicale e agapica. E si tratta spesso di un eros assolutizzato, indisciplinato, svincolato da ogni legame anche con la stessa essenza dell’uomo. «L’eros – si legge ancora nell’Enciclica – ha bisogno di disciplina, di purificazione per donare all’uomo non il piacere di un istante, ma un certo pregustamento del vertice dell’esistenza, di quella beatitudine a cui tutto il nostro essere tende. Due cose emergono chiaramente da questo rapido sguardo alla concezione dell’eros nella storia e nel presente. Innanzitutto che tra l’amore e il Divino esiste una qualche relazione: l’amore promette infinità, eternità, una realtà più grande e totalmente altra rispetto alla quotidianità del nostro esistere. Ma al contempo è apparso che la via per tale traguardo non sta semplicemente nel lasciarsi sopraffare dall’istinto. Sono necessarie purificazioni e maturazioni, che passano anche attraverso la strada della rinuncia. […] L’eros degradato a puro “sesso” diventa merce, una semplice “cosa” che si può comprare e vendere, anzi, l’uomo stesso diventa merce».
Anche nel Cantico dei cantici si trovano parole diverse per indicare l’”amore”. «Dapprima vi è la parola “dodim” – un plurale che esprime l’amore ancora insicuro, in una situazione di ricerca indeterminata. Questa parola viene poi sostituita dalla parola “ahabà”, che nella traduzione greca dell’Antico Testamento è resa col termine di simile suono “agape”. […] In opposizione all’amore indeterminato e ancora in ricerca, questo vocabolo esprime l’esperienza dell’amore che diventa ora veramente scoperta dell’altro, superando il carattere egoistico prima chiaramente dominante. Adesso l’amore diventa cura dell’altro e per l’altro. Non cerca più se stesso, l’immersione nell’ebbrezza della felicità; cerca invece il bene dell’amato: diventa rinuncia, è pronto al sacrificio, anzi lo cerca» (Deus caritas est).
Il cammino da percorrere è quello della verità che, però, nel corso dei secoli, è stata messa ai margini. Soprattutto negli ultimi decenni l’amore è stato relegato nella sfera del sentimento e del soggettivo, fino a cancellare e negare addirittura i confini dell’identità sessuale. Anche Papa Francesco, nella sua (ma in realtà scritta quattro mani con il suo predecessore) prima enciclica “Lumen fidei” è tornato a ribadire lo stretto legame tra amore e verità: «l’amore non si può ridurre a un sentimento che va e viene. Esso tocca, sì, la nostra affettività, ma per aprirla alla persona amata e iniziare così un cammino, che è un uscire dalla chiusura nel proprio io e andare verso l’altra persona, per edificare un rapporto duraturo; l’amore mira all’unione con la persona amata. […]. Solo in quanto è fondato sulla verità l’amore può perdurare nel tempo, superare l’istante effimero e rimanere saldo per sostenere un cammino comune. Se l’amore non ha rapporto con la verità, è soggetto al mutare dei sentimenti e non supera la prova del tempo. L’amore vero invece unifica tutti gli elementi della nostra persona e diventa una luce nuova verso una vita grande e piena. Senza verità l’amore non può offrire un vincolo solido, non riesce a portare l’”io” al di là del suo isolamento, né a liberarlo dall’istante fugace per edificare la vita e portare frutto».
Che cosa a che fare tutto questo col nostro cercatore d’oro? E con la famiglia?
In molti vivono oggi, tra moglie e marito, tra genitori e figli (e poi da figli verso i genitori anziani) una vasta gamma di atteggiamenti oblativi eppure faticano a dare a certi gesti, a certi impegni, a certi sacrifici il nome di “amore”. Per molte donne e molti uomini l’impegno oblativo è semplicemente un “dovere”. L’amore, per loro, è altro. È altrove. È memoria di un tempo passato (troppo in fretta) o nostalgia di un’occasione mai colta. E, a lungo andare, quei gesti di amore vero ma privati di identità, si stemperano in una vita scialba e senza intensità.
Anche nelle vicende del matrimonio, il dono dell’amore di Dio viene spesso non più richiesto. Si procede per inerzia, lasciando sepolto il tesoro della grazia. L’oro c’è ma non si sa di averlo!
Alla mancanza di verità sull’amare si aggiunge spesso un percorso di formazione monco che butta nella mischia della vita dei simil-adulti. Sono donne e uomini che restano adolescenti nel profondo e che cercano – la cronaca e i pettegolezzi ce lo testimoniano ogni giorno! – di riaccendere la fiamma di un fatidico “amore” attraversio avventure ed esperienze che lasciano amarezze e scavano ferite talvolta non più sanabili.
Si era accorto di questa deriva educativa lo psicoanalista e sociologo tedesco Erich Fromm che già nel 1956 scriveva: «L’amore infantile segue il principio: amo perché sono amato. L’amore maturo segue il principio: sono amato perché amo. L’amore immaturo dice: ti amo perché ho bisogno di te. L’amore maturo dice: ho bisogno di te perché ti amo». E ancora «Amare qualcuno non è solo un forte sentimento, è una scelta, una promessa, un impegno» (L’arte di amare).
Un buon esercizio può essere quello di rinominare – proprio come si rinomina un file sul pc! – tutta una serie di piccoli gesti quotidiani.
Aggiungere ancora una fatica, la sera, quando si vorrebbe solo lasciarsi sprofondare in un soffice meritato riposo, è amare.
Trasformare in un sorriso un pungente «te l’avevo detto» è amare.
Trascorrere in bianco la notte accanto ad un figlio con la febbre è amare.
Mantenere un impegno, anche e soprattutto quando costa, è amare.
A questi banali esempi, ogni moglie, ogni marito, ogni coppia, ogni famiglia può aggiungere, a partire dal proprio vissuto, quei gesti che vanno a costituire il tesoro di una storia d’amore che si costruisce giorno dopo giorno.
Parafrasando Roberto Vecchioni, sarà bello dirsi l’un l’altro: “forse non lo sapevamo, ma anche questo è amore!».
Patrizio Righero
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