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Attualità  

Una politica da rottamare?

Una politica da rottamare?

La credibilità internazionale la paghiamo a caro prezzo, a partire dai carburanti Un titolo ad effetto (“Stiamo rottamando la politica?”) per un incontro a Torino promosso dalla “Cattedra del dialogo”, in cui il sociologo Franco Garelli si è fatto interpellare sulle novità e sulle incognite, nonché sui problemi aperti e sulle prospettive da decifrare in questa fase politica appunto, decisamente anomala, complicata e pure contraddittoria. Sicuramente siamo ad un punto di svolta. Tutto da capire. Certo, a ben vedere, una certa politica ha praticamente fallito: ma sembra che non ne sia ancora nata una nuova, in grado di reggere in tutto e per tutto.
La crisi ha messo in ginocchio tutti. Tagliando le gambe ad un mondo politico che però in larga misura è ancora lì. In Italia si è fatto (coraggiosamente? per senso di responsabilità? per assenza di alternative?) ricorso ai cosiddetti tecnici, a cui assegnare il ruolo scomodo della contabilità da rimettere in sesto, a tutti i costi. Ed è un lavoro improbo e antipatico che si sta portando avanti, sia pure con una nuova immagine del potere che ha comunque ridato credibilità al Paese sugli scenari internazionali e sotto gli occhi di tanti.
Ma i problemi di fondo restano un po’ insoluti. Li citiamo sommariamente, perché andrebbero affrontati, anche solo pensandoci e ripensandoci. La scelta di fare l’Europa e di starci dentro è inevitabile, ovviamente fuori discussione. Ma in essa, la politica del bene comune dovrebbe essere prioritaria, anzi il punto di riferimento a cui rifarsi costantemente. Invece, talora, c’è la sensazione di trovarsi di fronte ad apparati europei che sanno esclusivamente di logiche finanziarie senza sconti. Qualcuno l’ha anche fatto notare: quando è balenata l’ipotesi di “commissariare” la Grecia… non si è finiti – almeno nelle intenzioni – al di là di un compiuto assetto democratico? Di fatto la crisi oggi mostra tutti i limiti della politica che finora si è messa in campo, mostratasi spesso incapace di arginarla per tanti versi: a dettare legge resta ancora la finanza, con il suo volto indecifrabile a magari non proprio umanissimo.
In Italia è ancora la politica del bene comune che stenta a farsi largo, sia pure in un momento in cui sono i tecnici di valore a prevalere. Ma la convinzione di preoccuparsi che nessuno rimanga indietro, per un Paese da governare, è obiettivo qualificante. Dovrebbe essere trasversale e condivisa. Insomma dovrebbe “contaminare” salutarmente politici e tecnici. I primi tentati dal consenso (e quindi dalle lobby o dai mondi che in qualche modo rappresentano), i secondi pressati anche giustamente dai conti che non tornano. Indubbiamente senza politica alta non andiamo da nessuna parte, così senza la finanza pubblica a posto non possiamo guardare ad un futuro accettabile.
Di mezzo ci siamo noi, che, per esempio, non capiamo come politicamente, contabilmente, finanziariamente non si possa frenare il prezzo insopportabile della benzina ormai verso i due euro al litro, il che significa una mina vagante per tutti. Qui, sul punto dolentissimo del carburante a prezzo d’oro, si ha l’impressione che dilaghino altre logiche. Che non si vogliono o non si possono governare?
Ma noi siamo gli stessi che, mentre forse ci sentiamo alla mercè della politica, dovremmo anche riesaminarci se nelle nostre attese ci stanno le esigenze del bene comune o se soltanto vi albergano le salvaguardie di bottega.

Corrado Avagnina

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