22 Marzo 2012
Una guerra civile?
Siria. La repressione della rivolta sta assumendo le dimensioni di un massacro di massa La complessità della rivolta siriana è data soprattutto dal carattere di guerra civile con il quale si fronteggiano le due fazioni in campo. Il dato eclatante dei cinquemila morti in dieci mesi è indicativo di quanto la violenza sia, in Siria più di ogni altra nazione coinvolta nella primavera araba, un elemento distintivo della rivolta. Se è vero, infatti, che gli oppositori hanno tenuto una condotta per lo più pacifica, dal canto suo il regime ha usato il pugno di ferro. Sin dalla prima manifestazione del 15 marzo a Daraa, le forze armate sotto il controllo di Assad non hanno esitato a uccidere civili inermi, uniti in una protesta. Proprio a Daraa, la città capofila delle proteste, l’esercito regolare ha ucciso quindici persone durante una manifestazione che chiedeva la liberazione dei quindici studenti arrestati e torturati nella cittadina sud siriana. Il 15 marzo 2011 la protesta scoppia simultaneamente in molte città. Nella capitale, un piccolo gruppo di 200 uomini cresce fino a raggiungere la cifra di 1500 unità alimentando l’azione di contrasto dell’esercito di Assad. Martedì 15 marzo diventerà il “Giorno della Rabbia” inizio ufficiale della “primavera” siriana.
La fine delle detenzioni per reati politici è stata una delle prime richieste dei protestanti di Daraa, ad indicare proprio l’oppressione delle coscienze e delle opinioni che, secondo le opposizioni, il governo siriano avrebbe attuato. L’intangibilità del potere politico sarebbe quindi diventato l’elemento da combattere per ottenere una Siria diversa. Come già ricordato, troppe sono le differenze tra i singoli stati per poter parlare di un vero e proprio contagio. È innegabile, tuttavia, l’esistenza di un effetto emulazione che ha generato la rivolta siriana. Il potere costituito di Assad, quindi, sentendosi minacciato in maniera pressante e tenendo bene a mente la lezione tunisina ed egiziana ha risposto cruentemente alle proteste. In definitiva, quando un potere retto da una serie di accordi tribali e gestito all’interno di un clan specifico è minacciato da un contesto nazionale (nel caso della Siria regionale) ostile aumenta la probabilità dello scatenarsi di una guerra civile. Unitamente alla propensione delle opposizioni siriane alla dispersione, la dura reazione di Assad sta dilatando i tempi per una transizione rapida.
Per controllare meglio la popolazione e limitare i danni, inoltre, era assolutamente necessario controllare gli assembramenti pubblici. I giorni di preghiera, il venerdì principalmente, divenivano il momento di ritrovo per molti attivisti e oppositori. Il 18 marzo, primo venerdì dopo il “Giorno della Rabbia”, la popolazione siriana diede vita ad una serie di manifestazioni in tutte le maggiori città della nazione. In quel frangente, l’esercito lanciò una controffensiva che uccise almeno cinque persone, stando a quanto dichiarato dai manifestanti.
Nel mese di aprile, dopo circa tre settimane di sollevazioni, la protesta entrò in una fase di accresciuta tensione. Il dodici dello stesso mese, truppe siriane occuparono il porto d Baniyas, impedendo a molti, accusati di essere dissidenti, di imbarcarsi per raggiungere la vicina Turchia. Altri violenti scontri portarono all’uccisione di 13 persone tra civili e militari. In questa prima fase, ancora non esisteva alcun organismo per il raccordo dei manifestanti. I Syrian Local Coordination Committee saranno creati a partire dal mese di maggio, mentre la prima vera autorità, il Syrian National Council, nascerà soltanto nel mese di agosto.
La tardiva organizzazione degli oppositori induce a credere che la battaglia per rovesciare il regime sarà ancora molto lunga. A differenza di Tunisia ed Egitto, dove non è stato necessario creare un corpo alternativo al governo in carica, la Siria ha sperimentato la creazione di un governo in esilio come coordinamento centralizzato della gran parte dei gruppi unitisi alla protesta. Proprio tale spaccatura è sintomatica di uno scontro intestino prolungatosi per dieci mesi. Anche sotto il profilo dell’appoggio internazionale, la Siria ha sperimentato differenze rispetto al caso libico. L’interesse, aldilà di mere dichiarazioni di intenti, è relativo soltanto alla compagine regionale della Lega Araba che ha inviato nelle scorse settimane i propri osservatori dopo gli attentati del 23 dicembre 2011 a Homs e del 6 gennaio 2012 a Damasco.
Nell’escalation di violenze in Siria un elemento da non sottovalutare è sicuramente quello del supposto terrorismo di matrice islamica che potrebbe contribuire ad esacerbare una situazione già grave di per sé. Il governo brandisce l’arma del terrorismo come diretta emanazione del caos prodotto dalle proteste per incutere timore nella popolazione e garantirsi un appoggio più ampio dell’attuale. Dal canto loro, le opposizioni sembrano aver capito che la strategia del regime è anche mediatica e accusano il governo di aver organizzato esso stesso gli attentati – in maniera funzionale ai propri scopi di destabilizzazione del Paese e di gettare discredito sui movimenti di dissenso – e per questo stanno cercando di unire sempre di più gli sforzi per rovesciare Assad.
In definitiva, il quadro siriano ha tutti gli ingredienti per poter essere assimilato a una guerra civile in piena regola. Un governo ed un’opposizione che si fronteggiano in scontri continui; un governo parallelo che funge da catalizzatore della debole attenzione internazionale; un popolo che continua a rivendicare i propri diritti. L’unico pezzo mancante del puzzle è l’assenza di un esercito contrapposto al regolare sotto il comando il Assad. In realtà, il Free Syrian Army potrebbe adempiere a questo compito. Attualmente, però, la mancanza di soldati professionisti sbilancia il rapporto di forze a favore del regime. La guerra civile siriana potrebbe durare molto a lungo. Qualora la comunità internazionale voglia davvero ottenere la caduta di Assad, la precondizione sarebbe, dunque, quella di appoggiare i ribelli. In caso contrario, il sangue destinato a scorrere in Siria sarà ancora copioso.
La rivolta in Siria presenta molte criticità. La trasformazione da protesta per rivendicare i propri diritti a guerra civile è ormai ad un stadio avanzato. Il rapporto tra le forze politiche di opposizione è quanto mai complesso ed articolato, anche se da esso dipenderà la riuscita della rivolta. Le divisioni interne contribuiscono allo stallo, con il regime che non arretra di un passo. I costi umani ed economici della sollevazione popolare stanno diventando insostenibili.
In questo quadro, un supporto internazionale che non si limiti soltanto all’imposizione di sanzioni o a mere dichiarazioni di sostegno potrebbe favorire i ribelli rifornendoli dei mezzi necessari per sostenere il confronto con l’esercito. Il mondo occidentale gioca molta della sua credibilità in Siria soprattutto per l’attivismo promosso in Libia. Anche in Siria la repressione sta assumendo le dimensioni di un massacro di massa cui i principi della civiltà occidentale suggerirebbero di porre rimedio.
Sul piano interno, invece, per gli oppositori è consigliabile definire una strategia che vada ben oltre le schermaglie armate. C’è bisogno di molta diplomazia per convincere i clan che sostengono il regime a cambiare opinione e a schierarsi dalla parte del Syrian Nationa Council e del National Coordination Committee for Democratic Change per fare terra bruciata intorno ad Assad e costringerlo, nella migliore delle ipotesi, a lasciare il suo posto. Inoltre, i gruppi di opposizione dovrebbero anche comprendere come affrontare i nodi della nuova Siria a partire dal risanamento dei conflitti interni. Porsi nel modo più opportuno possibile nei confronti dei Fratelli Musulmani e dell’ala curda è un passo cruciale per determinare i nuovi rapporti di forza della Siria che verrà. È, dunque, su questi contrasti che le opposizioni siriane giocano la loro partita. Tanto più saranno in grado di trovare posizioni comuni, anche sul futuro, tanto più la loro azione avrà efficacia. Diversamente sarà difficile dare corso ad una nuova Siria.
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