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Attualità  

Siria: no alle armi chimiche ma grandi riserve sull'intervento armato

Siria: no alle armi chimiche ma grandi riserve sull'intervento armato
Campo profughi siriano in Kurdistan, Iraq
Campo profughi siriano in Kurdistan, Iraq

Agensir 29 agosto 2013. Si allarga il fronte dei leader cristiani che si schierano contro l’eventualità di un intervento armato in Siria. Dal cuore dell’Europa le Chiese e i loro responsabili condannano fortemente il ricorso alle armi chimiche contro la popolazione civile ma chiedono alla comunità internazionale e ai governi Usa, Gran Bretagna e Francia schierati in prima linea di valutare attentamente le conseguenze che un attacco armato in Siria può avere sull’intera regione araba e musulmana.
La via della guerra è sempre un fallimento. È il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Conferenza episcopale italiana a ricordarlo. L’arcivescovo invita tutte le parti in causa “al buon senso, al negoziato, al dialogo in tutti i modi con molta umiltà”. Ferma la condanna all’uso di armi chimiche: “assolutamente le armi non sono mai in se stesse accettabili, tanto meno queste forme più sofisticate che possono sterminare maggiormente la popolazione e creare dei danni anche per il futuro”. Ma il cardinale invita alla prudenza “per non aggiungere errori ad errori”. Nel cuore delle Chiese europee ci sono anche le minoranze cristiane nel Medio Oriente perseguitate. “Purtroppo – ha affermato Bagnasco – sono forme di intolleranza che emergono in queste situazioni di incertezza, di conflittualità politica e culturale” ed ha ricordato che, sebbene troppe volte strumentalizzato, “quello religioso è un elemento che alla radice ha la pace e la giustizia”.

Valutare le conseguenze. A mettere in guardia sulle conseguenze che un attacco militare in Siria può avere sull’intera regione araba e musulmana sono dal cuore di Londra l’arcivescovo di Canterbury Justin Welby e Lord Carey che è stato arcivescovo di Canterbury dal 1991 al 2002. Welby che ha trascorso diversi anni lavorando in prima linea per la riconciliazione in zone di guerra in Africa e in Medio Oriente, ha chiesto ai membri del Parlamento britannico di essere “sicuri” prima di agire in mezzo ad “una situazione molto delicata e pericolosa”. Ed ha insistito sul concetto che ci sono “numerosi passaggi intermedi”, tra il non fare nulla e il cambio totale di regime in Siria, che potrebbero essere considerati. L’arcivescovo ha quindi esortato i parlamentari britannici a prendere seriamente in considerazione il rischio di determinare conseguenze gravi nell’intera regione, ponendosi quindi una serie di domande: “Siamo sicuri dei fatti sul terreno?”. E ancora: siamo sicuri di non generare “ramificazioni imprevedibili in tutto l’intero mondo arabo e musulmano?”. Reduce da un recente viaggio a giugno nella regione, l’arcivescovo racconta il crescente stato d’animo di paura fra i cristiani. “Riesco a malapena a ricordare un momento di incontro in cui non si avvertiva questo senso di apprensione. Era tangibile”. Netta la posizione dell’ex arcivescovo di Canterbury, Lord Carey: “Non sono favorevole all’entrata del Regno Unito in questo conflitto. Condivido il senso dei parlamentari di sdegno morale verso un governo che usa armi chimiche contro il proprio popolo o qualsiasi altro popolo. Ma un intervento ci trascina solo in una guerra che potrebbe inghiottire l’intero Medio Oriente”.

Per il bene del popolo siriano, non per gli interessi politici. Dalla Conferenza delle Chiese d’Europa giunge invece l’appello perché ogni decisione che verrà presa dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite “consideri principalmente il bene del popolo siriano e non le esigenze della politica”. A parlare a nome delle 115 Chiese ortodosse, protestanti, anglicane e vetero-cattoliche di tutti i Paesi europei, è Guy Liagre, segretario generale della Kek. Anche la Kek “condanna fortemente l’uso di armi chimiche della scorsa settimana in Siria” ed ha chiesto alle sue Chiese membro di “pregare e incoraggiare i loro leader affinché esprimano preoccupazione per conto delle vittime, le persone inermi e innocenti che continuano a soffrire nel conflitto”. Ma ogni decisione in merito a qualsiasi intervento nella regione deve essere presa tenendo in considerazione “il bene del popolo siriano” e non gli “interessi politici”. “Ogni sforzo messo in atto dai leader mondiali deve essere compiuto con la finalità di raggiungere un consenso illuminato su come affrontare gli attacchi chimici ricorrendo al diritto internazionale e alle istituzioni preposte”, in un modo anche che “non peggiori ulteriormente il conflitto”.

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