6 Marzo 2015
Quella prima messa in italiano

06 marzo 2015
Sono passati più di cinquant’anni dall’approvazione del documento del Concilio sulla Sacra Liturgia. Esso si intitola – dalle prime parole in lingua latina – “Sacrosantum Concilium”. È stato approvato il 4 dicembre 1963.
Subito dopo fu istituito un organismo chiamato “Consilium ad exsequendam constitutionem de sacra liturgia” per dare attuazione alla riforma voluta dal Concilio stesso.
Un primo lavoro fu quello di preparare, anche solo in forma provvisoria e sperimentale, i libri liturgici rinnovati. Lavoro impegnativo. Oltreché la semplificazione dei riti, si doveva predisporre i testi liturgici redatti in lingua italiana. Questo per permettere ai fedeli una piena, consapevole e attiva partecipazione.
Il grande e atteso appuntamento fu la prima domenica di Quaresima, 7 marzo 1965.
Dal quel giorno una gran parte della Messa venne celebrata in lingua Italiana. Rimaneva in latino la preghiera eucaristica (il canone romano), ma dopo poco tempo anche questa venne tradotta, anzi se ne aggiunsero di nuove.
Per disporre i fedeli a scoprire queste novità si fecero in tutte le parrocchie incontri preparatori per far capire come la liturgia non è soltanto un insieme di belle cerimonie, ma «opera di Cristo sacerdote e del suo corpo, che è la Chiesa», per questo « è azione sacra per eccellenza, e nessun’altra azione della Chiesa, allo stesso titolo e allo stesso grado, ne uguaglia l’efficacia» (Sacrosantum Concilium, n.7). Ricordo l’entusiasmo che ci comunicava mons. Albino Mensa invitandoci a gustare la bellezza della liturgia attraverso la novità del rito, la comprensione dei testi biblici e la partecipazione attiva e coinvolgente nei canti e nelle preghiere.
Quel 7 marzo 1965 era soltanto il primo passo verso un’attuazione più amplia della riforma liturgica. Al di là di limitate resistenze, la gente accolse con favore i cambiamenti. Accenno agli elementi più importanti: l’adattamento del presbiterio alle nuove esigenze: l’ambone per la proclamazione della parola, l’altare rivolto verso il popolo, la sede presidenziale; l’introduzione della preghiera dei fedeli e l’obbligo dell’omelia; in forma sperimentale la lettura continua dei testi biblici nelle Messe feriali.
Paolo VI diede per primo l’esempio. Cominciò ad andare a celebrare il nuovo rito nelle parrocchie di Roma ed eliminò il fasto e la mondanità nelle cerimonie della basilica di S. Pietro. Sobrietà e semplicità furono il binomio guida nella riforma dei riti e dei gesti liturgici, come pure nelle vesti e negli ornamenti della chiesa.
Un nuovo spirito si imponeva e rendeva le celebrazioni più vicina al sentire e al vivere della gente.
Sono passati cinquant’anni da quei primi passi. Prima di tutto bisogna ringraziare il Signore per questo tratto di strada percorso. La liturgia nella consapevolezza dei fedeli tornava ad essere “culmine” e “fonte” della vita e missione della Chiesa. È innegabile il rinnovamento spirituale prodotto in mezzo al popolo di Dio. Resta però ancora molto cammino da fare per realizzare una fruttuosa partecipazione, soprattutto nella celebrazione dell’Eucaristia. Occorre che la liturgia sia un evento di bellezza se vuole essere annuncio di buone notizie e di speranza.
+ Pier Giorgio Debernardi

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