La bestia Italexit si sta agitando, nella sua gabbia malandata. L’aveva già fatto l’anno scorso, ma i guardiani si erano spesi dicendoci che di lei si stava occupando il domatore. È ovvio che un animale sconosciuto, e, nell’immaginario dei più, pericoloso, abbia spaventato gli italiani, allo stesso modo di un buio imprevisto, in un paese abituato all’energia.
Gli amanti del cambiamento e dei salti nel vuoto hanno invece applaudito, dedicandole dei “like” di condivisione: “Non possiamo temere il nuovo, quando l’umanità si nutre di scoperte e sperimentazione”. Quell’essere in libertà ha stimolato parecchi confronti, fra auspici e conseguenze. Qualcuno ha creduto di scorgere dei denti affilati e una gola profonda; si è quindi premurato di cercare un riparo, a costo di farsi insultare: “Venite da noi quando la casa brucia!”. L’aleggiare dei timori ha convinto i guardiani a rinchiuderla in fretta nel suo recinto. Una decisione che non ha cancellato la certezza di un pericolo esagerato ad hoc; i responsabili della gabbia hanno quindi mantenuto fede al loro obiettivo, scardinando, qua e là, qualche paletto: “In fondo è come un buon cane, ci riserverà tanta amicizia e tanto amore, ci farà crescere, insomma!”. Quei saggi sono talmente convinti di questo da rilanciare altri messaggi rassicuranti. La bestia proteggerà i confini, intralciando i collegamenti troppo facili, salvo che il mondo di fuori non decida di convergere sul nostro modello e sui nostri bisogni. La bestia rappacificherà il popolo, pareggiando le diversità e appropriandosi di quelle ricchezze private, così lontane dagli affamati.
A ben vedere, una bestia molto somigliante all’animale allevato e coccolato, anni addietro, quando i confini erano ben difesi e tutto il popolo, con poche eccezioni, soffriva la fame. Lo so! Non è bello sentirsi snobbare dai vicini, ma se quell’animale inferocito abbattesse il suo fragile recinto, potrebbe anche divorarci, senza lasciarci il tempo di raggiungere il bunker.
Sergio Martini
Non solo figlia, anche madre dell’Europa, e non da ieri, ma dai tempi dell’imperatore Traiano.
Dario Seglie