Una riflessione del professor Ciravegna su omosessualità e pastorale “Nella vita cristiana nessuna buona azione, nessuna sofferenza veramente donata vanno perdute”

La Chiesa è impegnata nella cura pastorale delle persone omosessuali. Questo servizio si comprende nel contesto della sua azione educativa attenta a tutta la persona umana. Nel suo Magistero è convinta che solo guardando alla grandezza della vocazione umana, si possono individuare e ordinare alcuni aspetti della propria vita che rischiano di essere vissuti in modo autoreferente, generando facili illusioni e successive delusioni.
La persona, prima dei problemi
Coloro che sono impegnati nella cura pastorale e nell’ambito educativo sono chiamati a considerare la grandezza della persona con i suoi problemi. Chi chiede aiuto o consiglio per un problema di omosessualità è da vedere come una persona che soffre e non come un problema spersonalizzato. Occorre ricordare che una persona che soffre, talvolta per un’autostima lesa, può nascondere la propria vulnerabilità dietro aggressività o arroganza. Pertanto bisognerà riconoscere la sua debolezza e rispondere a questa, non all’eventuale aggressione.
Di fronte alla persona omosessuale, occorre sempre distinguere tra orientamento e atto. La persona non sarà responsabile delle tendenze omosessuali che scopre in sé, ma di ciò che fa di fronte a tali tendenze. Inoltre la persona con tendenze omosessuali si trova in una situazione difficile; non bisogna rendere la sua situazione ancor più gravosa presentando una dottrina morale falsa o ambigua, cedendo alla pressione sociale; si indebolirebbe la volontà della persona e il suo coraggio, come chi offre da bere all’alcolizzato o droga al drogato.
La gradualità pastorale della Chiesa
Il magistero ecclesiale insegna che l’attività omosessuale non esprime un’unione complementare, capace di trasmettere la vita; pertanto contraddice la vocazione a un’esistenza vissuta in quella forma di autodonazione che secondo il Vangelo è l’essenza stessa della vita cristiana. Ciò non significa che le persone omosessuali non siano spesso generose e non facciano dono di se stesse; ma quando esprimono un atto omosessuale manifestano un disordine morale. Solo nel matrimonio, nella relazione coniugale tra l’uomo e la donna, l’uso della facoltà sessuale può essere moralmente retto, significando l’unità dei coniugi e la loro apertura alla trasmissione della vita.
La Chiesa, alla luce del suo insegnamento, offre il cammino della gradualità pastorale ricordando che quando esiste una debolezza di fronte a una norma morale, la persona si deve impegnare a porre le condizioni necessarie per osservare quella norma; è importante che mantenga l’impegno di superarsi. Quando una persona manifesta di avere un problema omosessuale bisogna attribuirle buona volontà; il cammino della libertà, per alcune di esse sarà difficile, ma non è motivo per un disimpegno. Occorre valutare l’importanza di un aiuto professionale da parte di uno psicologo o psichiatra ben preparati. Dati recenti confermano che quasi la metà delle persone omosessuali possono, con l’aiuto di una terapia, superare il problema del loro orientamento. Quando questo non è possibile, un aiuto terapeutico può condurre la persona a raggiungere una maggiore padronanza dei propri impulsi.
Un cammino di speranza
È decisivo aiutare la persona a impostare il problema nel contesto giusto: quello di una visione cristiana della vita; in questo ambito la gratificazione sessuale non è indispensabile per una vita riuscita e non è l’unica sorgente di speranza umana, benché sia presentata sovente così nella cultura contemporanea. La persona omosessuale, come ogni persona umana, deve essere aiutata a trovare un senso cristiano alle sue sofferenze vedendole alla luce del mistero pasquale della morte e risurrezione di Gesù, che è l’unico fondamento sicuro della nostra speranza e della nostra gioia. Un mezzo sano per ogni persona, soprattutto quando si trova in difficoltà particolari, è la preghiera di ringraziamento per mezzo della quale può riconoscere i molti beni ricevuti da Dio, liberandosi, almeno in parte, dalla prigionia delle sue preoccupazioni. Questo itinerario aiuta la persona omosessuale a realizzare la sua autentica donazione al Signore. Nella vita cristiana nessuna buona azione, nessuna sofferenza veramente donata vanno perdute, anzi sono già diventate “un tesoro in cielo”.
Dominio di sé e donazione agli altri
Chi sa essere padrone di se stesso, di fronte alla proprie tendenze e impulsi, non cresce solo nel dominio di se stesso ma anche nella capacità di ascolto di Colui che è nostro Signore. Egli ha vinto ogni signoria che ha la pretesa di schiavizzare la persona in nome di facili vantaggi e promesse, soprattutto quella signoria che è menzognera e ingannatrice. Nella lotta spirituale la persona omosessuale scoprirà che chi si lascia dominare nel Signore si saprà veramente donare secondo il progetto di Dio, mai contro il suo progetto di amore. La cura del dominio di se stessi, rende più attenti a saper ascoltare gli altri, a immedesimarsi nei loro problemi, a vivere una solidarietà che si fa carico di chi soffre. La vita di donazione secondo il dominio di se stessi manifesta che il nemico della vita riuscita non sono le prove e le sofferenze, ma i propri egoismi e le personali chiusure. In tale prospettiva le persone che vivono la prova dell’omosessualità, secondo il dominio di sé, possono diventare, nel retto dono di sé, testimoni di un amore più grande.

don Franco Ciravegna