8 Ottobre 2013
Intervista esclusiva all’ambasciatrice del Kenia in Italia

Il Kenya dal ‘98 ad oggi è considerato un nemico dai gruppi terroristici di ispirazione Qaedista per il suo allineamento con gli occidentali, la storica amicizia con Israele e l’intervento nel conflitto somalo. Questi elementi spiegano il perché della lunga storia degli attacchi violenti avvenuti sul territorio keniota.
Nell’agosto del 1998 i militanti di al Qaeda hanno fatto saltare l’ambasciata Usa a Nairobi. La guerra civile in Somalia ha fornito nuovi elementi di instabilità. Il flusso di profughi somali ha portato con sé non solo miseria ma anche estremismo.
In questa intervista con l’ambasciatore del Kenya in Italia, Josephine Wangari Gaita, abbiamo cercato di approfondire le ragioni politiche e culturali di questa spirale violenta che il 21 settembre scorso ha registrato un nuovo sanguinoso episodio con l’attacco – rivendicato dai miliziani somali di Al Shabaab – al centro commerciale Westgate di Nairobi, costato la vita a quasi 70 persone.
Sta dilagando sempre di più l’incendio islamista anche in paesi che si pensavano meno esposti al terrorismo. Nella rivendicazione dell’attacco a Nairobi c’è la sintesi della nuova strategia di Al-Qaeda. Come si può fermare e bloccare questa offensiva di violenza?
Riguardo al recente attacco terroristico a Nairobi, i responsabili dell’attacco si sono vendicati della presenza del Kenya in Somalia per aiutare il Paese vicino a restaurare la pace e la sicurezza dei propri cittadini. Questa non era una guerra religiosa, in quanto musulmani provenienti da diversi Paesi hanno condannato tale atroce attacco.
La modalità degli attentati è stata sofisticata, diversa da altri metodi usati, ma posso assicurare che il Governo del Kenya è attivamente impegnato in attività anti-terroristiche per sventare ogni imminente attentato. Il Governo del Kenia ha un Dipartimento di Polizia Anti-Terrorismo composto da agenti addestrati all’anti-terrorismo. Inoltre, vi è una Legge Anti-Terrorismo che ha istituito una Task Force per l’anti-riciclaggio e la lotta al finanziamento del terrorismo.
A seguito dell’attentato, il Governo del Kenia ha intensificato le misure di sicurezza in tutti gli aeroporti, i centri commerciali, le zone d’affari, le zone di frontiera, i luoghi di culto e gli alberghi turistici.
Il terrore ora parla africano. Come può reagire il continente di fronte a questa recrudescenza della violenza terroristica?
Il terrorismo non è africano ma è un problema internazionale. Si sono verificati molti attentati terroristici in tutto il mondo ed il terrorismo è stato condannato in quanto l’intento è di causare caos ed uccidere degli innocenti. Attualmente, il Continente africano è più unito che mai nella lotta al terrorismo.
I Capi di Stato dell’Africa sub-Sahariana e degli Stati membri dell’Unione Africana hanno spedito un messaggio congiunto di solidarietà al Presidente del Kenya Uhuru Kenyatta. Si sono anche impegnati a lavorare insieme per dare supporto alla missione dell’Unione Africana in Somalia per migliorarne la situazione, il che è importante per lottare contro il gruppo di Al Shabaab.
Pare che i turisti siano tra gli obiettivi dei terroristi, in quanto occidentali e in quanto cristiani. I terroristi erano musulmani, ma questo non significa che i musulmani sostengono tali attentati.
Questo è un attentato esclusivamente ideologico e non basato sulla religione. Da un’analisi preliminare, è stato riscontrato che i terroristi hanno ucciso a vista in modo indiscriminato, inclusi i musulmani; ciò indica che l’obiettivo non erano i turisti. Hanno anche rilasciato molte persone, tra le quali occidentali e cristiani. Pertanto, il loro intento era di uccidere e di dimostrare che non sono d’accordo con la presenza del Kenia in Somalia.
Il messaggio forte di pace e di dialogo di papa Francesco come contribuisce ad affrontare e a risolvere questo nuovo ed ennesimo focolaio di violenza e di guerra?
Ritengo che il messaggio di pace di Papa Francesco debba incoraggiare il dialogo in presenza di idee diverse. La violenza non è il modo migliore di risolvere i conflitti. Inoltre, il sistema dell’ONU introdotto in tutte le Organizzazioni Internazionali consente alle persone di discutere delle proprie idee in modo costruttivo e ciò dovrebbe essere incoraggiato affinché le persone discutano per trovare soluzioni.
Stefania Parisi
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