6 luglio 2015
Giorgio D’Aleo, neo presidente del Museo dell’emigrazione di Frossasco, è anche referente diocesano del “Gruppo di Amicizia islamo – cristiana”. Ci siamo rivolti a lui per fare un po’ di chiarezza su alcuni fenomeni che, ogni giorno di più, coinvolgono l’Italia e nello specifico anche il nostro territorio pinerolese.
I recenti massacri perpetrati dall’ISIS in Francia, in Tunisia e in altri paesi, hanno ulteriormente alimentato il clima di diffidenza nei confronti del mondo islamico. Sono in molti – spesso aizzati da soggetti e personaggi politici – a identificare in ogni mussulmano un possibile terrorista. Non è così?
Di fronte alla gravità delle continue provocazioni dei terroristi dell’ISIS è necessario fare chiarezza e ribadire alcuni concetti di base. Come prima osservazione, dovremmo utilizzare – in luogo dei termini “Isis” (Stato islamico dell’Iraq e della Siria) o “Isil” (Stato islamico dell’Iraq e del Levante) – l’acronimo col quale essi stessi si designano: “Da ish”: “Stato islamico dell’Iraq e del Levante”. L’obiettivo che esso si è posto è la creazione di un Stato “islamico”. Ma le azioni militari avvengono in un contesto sociale in cui l’Islam è, storicamente, assolutamente maggioritario.
Questo significa che, alla base di questo intervento, non vi è una lotta per l’affermazione di una fede rispetto ad un’altra: vi è, piuttosto, una contrapposizione ad un contesto politico che si vuole abbattere. Da questa considerazione emerge con chiarezza che questo conflitto, pur usando strumentalmente uno sfondo religioso è, invece, un confronto che oppone agli attuali detentori del potere altri che aspirano ad abbatterlo per sostituirvi una diversa struttura statale, il Califfato. Circa i drammatici fatti di Sousse, vale la pena ricordare che, se da un lato le vittime sono diverse decine di villeggianti europei, dall’altro vi è un intero Paese, colpito in una delle principali risorse economiche – il turismo – ed in un delicato frangente della propria storia, all’indomani della “Rivoluzione dei Gelsomini” che ha portato la Tunisia alla democrazia. D’altra parte, le vittime della guerra in Medio Oriente – che si contano ormai a centinaia di migliaia – sono per la quasi totalità di fede mussulmana.
La diffidenza nei confronti dell’intera, composita Comunità mussulmana appare, oltre che esagerata, dunque, decisamente fuori luogo: che senso avrebbe diffidare della principale vittima del Da Ish, cioè della comunità islamica medesima?
Islam e accoglienza dei profughi. Anche in questo caso c’è chi semplifica e fa di ogni erba un fascio. «Pensate solo a loro e dimenticate gli italiani e i cristiani». Oppure: «Facciamo entrare in casa nostra coloro che vogliono distruggere i nostri valori e le nostre tradizioni». Come rispondere a queste obiezioni?
Uno dei luoghi comuni che circolano con insistenza si basa sull’equazione straniero = islamico = possibile terrorista. Mi sembra necessario, anche a questo proposito, fare un po’ di chiarezza.
Prescindo dall’osservazione secondo la quale si penserebbe solo agli stranieri dimenticando gli italiani ed i cristiani. Secondo i dati statistici (ottenibili dall’Ufficio Statistiche del Comune di Pinerolo), la comunità straniera più numerosa è quella rumena. Questa comunità è, nella stragrande maggioranza, di fede cristiana (ortodossa e cattolica). Essi hanno avuto fraterna accoglienza nella nostra diocesi. Dunque non corrisponde al vero affermare che si pensa solo ai non cristiani. Quanto, poi, al resto della comunità straniera nel suo complesso, è incontestabile il fatto che se improvvisamente venisse a mancare il contributo delle persone straniere, le conseguenze, per noi italiani, sarebbero davvero notevoli e gravose.
È vero, invece, che non sembra contare molto se i lavori più umili e pesanti sono svolti dalle persone straniere e lascia piuttosto indifferente qualcuno tra i più o meno improvvisati sostenitori dei diritti dei “nostri” il fatto che, in rapporto al loro numero, è elevata la percentuale di incidenti e morti sul lavoro. Ciò che sembra importare maggiormente è, piuttosto, il disporre di manodopera a basso costo e con pochi o nessun diritto (per sé e per i propri figli, potenzialmente clandestini al raggiungimento della maggiore età); per tacere del diritto di voto, neppure di quello amministrativo, di chi paga regolarmente le tasse. Se poi si vuole parlare di profughi con cognizione di causa, quando non bastasse il Vangelo, è fondamentale, per non cadere in errori di valutazione, conoscere le condizioni oggettive di chi fugge da persecuzione, guerra, fame.
Quando anche ciò non fosse ritenuto sufficiente, non si potrà dimenticare che, nello scenario internazionale, il nostro Paese ha sottoscritto precisi impegni voluti anche in tempi recenti da governi (di entrambe gli schieramenti) in cui erano presenti personaggi politici che oggi sembrano aver completamente perduto la memoria di quanto essi stessi hanno sottoscritto. Chi fugge da situazioni insostenibili, in ogni caso, pensa a tutt’altro che a distruggere valori, tradizioni ed istituzioni della società che ha dato loro accoglienza: ciò rappresenterebbe, con buona evidenza, un incomprensibile, sciocco autolesionismo, un voler affondare la barca nella quale, a fatica, è riusciti a salire.
Da alcuni mesi sul Vita pubblichiamo “Le parole chiave dell’Islam”. A proposito un lettore ci ha manifestato le sue perplessità ritenendo questi brevi cenni una sorta di propaganda islamica. E ha scritto: «La “shahada”, testimonianza di fede in Allah, anche da Voi pubblicata, ha fatto bella mostra di sé sotto la testa decapitata dell’imprenditore di Lione». Quale è, invece, il senso di questa rubrica?
La rubrica “Le Parole chiave dell’Islam” è stata concepita come uno strumento di prima conoscenza di una realtà i cui fedeli sono una parte considerevole della famiglia umana.
Il Concilio Vaticano II ha parole di apprezzamento nei confronti dell’Islam e, senza nascondere le dolorose vicende che, nel passato, hanno reso assai difficile il dialogo, riconosce i riferimenti comuni alle due fedi. Dunque, non deve esserci timore nel conoscere le basi dell’Islam; al contrario, può rappresentare un’espressione di attenzione e di amore del prossimo, utile, esercizio di fede cristiana. Certo, conoscere gli elementi di base è una cosa; assai diverso è il caso di altre manifestazioni che con la fede non hanno nulla a che fare. Ricordo che le SS del III Reich avevano come motto la frase “Dio con noi” (Got mit uns); non credo ci sia una differenza significativa rispetto ai terroristi del Da Ish che oggi vorrebbero giustificare i propri crimini usurpando la professione di fede (“Shahada”).
Tu fai parte del gruppo “Amicizia islamo – cristiana” che fa capo all’ufficio diocesano per l’Ecumenismo e il dialogo. C’è più di un cattolico che teme questa apertura come un possibile cedimento al proselitismo musulmano. Di che cosa si tratta in realtà?
Il Gruppo dell’Amicizia I-C è parte della Commissione diocesana per il Dialogo Ecumenico. Il cammino di reciproca conoscenza e di relativo avvicinamento tra cristiani cattolici e cristiani riformati è il frutto di un percorso che dura da decenni e che ha portato al superamento di una serie innumerevole di stereotipi e pregiudizi. Si è sviluppato nelle nostre terre perché, storicamente, la presenza dei valdesi è molto forte. Allo stesso modo, con il crescere della presenza di fedeli mussulmani, si è sentita, come diocesi, l’esigenza di aprire forme di dialogo con la loro comunità. Per questo si sono aperti canali di comunicazione che, in linea con la Giornata nazionale del Dialogo Islamo Cristiano (il 27 ottobre), hanno come obiettivo quello di creare le condizioni per una convivenza basata sul rispetto del rispettivo credo e sulla condivisione dei valori comuni.
Il primo passo, ovviamente, è quello della reciproca conoscenza: la denominazione di “Gruppo dell’Amicizia i-c” (e non “Gruppo del Dialogo i-c) sta ad indicare come si stiano muovendo i primi passi, forti, però, della consolidata stima reciproca che si è creata nel tempo. L’obiettivo è quello di contribuire alla diffusione nelle rispettive comunità, di un comune sentimento di rispetto e di stima, base sulla quale costruire l’auspicato riconoscimento di ciò che di bene e di giusto vi è in ogni fede, nello spirito della “Nostra Aetate”.
L’azione della Chiesa pinerolese, poi, ha svolto un ruolo di primaria importanza, allargando il proprio campo d’azione evangelica – che tradizionalmente opera a sostegno dei nostri connazionali più poveri – anche agli immigrati più svantaggiati e, dopo la guerra di Libia, ai profughi provenienti da quelle – ed altre – martoriate parti del mondo. È singolare pensare a queste azioni come ad un cedimento: il Dio di amore e di giustizia non ci chiede di verificare le generalità dei fratelli (e di discriminare rispetto alla provenienza od al credo professato); ci chiede “semplicemente” di amare Lui e di amare il prossimo. Se questo esercizio appare difficile e, per qualcuno, addirittura rischioso, è necessario, semmai, moltiplicare la preghiera perché il Signore accresca la nostra fede.
P.R.