9 Luglio 2014
Il mare della disperazione
9 luglio 2014
Nulla ci può essere più distante, quando in gioco c’è la vita umana. E se, per caso, per vergognosa distrazione, per insopportabile indifferenza, volessimo non accorgercene, ci pensano – salutarmente e provocatoriamente – i mass media a riproporci una tragedia che non consente di voltare la faccia altrove (men che meno all’estate che comincia ad imperversare). Sono i morti a decine, talora in modo raccapricciante, dei profughi che scappano da Paesi poveri e in guerra, attraversando il Canale di Sicilia stipati su carrette precarie, in mano a commercianti orrendi di carne umana. Il bollettino quotidiano degli sbarchi, anzi dei salvataggi tra le onde, da parte delle navi italiane impegnate nell’operazione “Mare Nostrum”, ci riserva sempre ed ancora altri dati terribili di poveracci finiti tragicamente, in disavventure da brivido. Esattamente un anno fa, era l’8 luglio, Papa Francesco compiva il suo “viaggio penitenziale” a Lampedusa, avamposto dell’accoglienza dei profughi e pure terra ove sono sbarcati e stanno sbarcando i tanti morti del mare durante le traversate della speranza. Le sue domande di allora rimangono pesantemente attuali sulle coscienze di tutti, in alto ed in basso. E nessuno ne senta fastidio, anzi ne provi un senso di solidarietà almeno ideale. “Adamo dove sei?”, “Caino dov’è tuo fratello?”, “Chi ha pianto per la morte di questi fratelli e sorelle?”. Già, chi ha pianto, chi piange, chi rimane colpito? E lo stesso Papa Francesco ad ottobre, quando si contarono quelle 366 bare dell’ennesimo disastroso naufragio, non seppe trattenere la parola forte: “Vergogna!”. Già, vergogna! Per un mondo che non sa più farsi carico di diseredati, che sforna vittime con cinismo, che assiste un po’ sussiegoso a traffici disumani. E, per dirla con il vescovo di Agrigento, mons. Francesco Montenegro (peraltro anche presidente della Commissione CEI per le migrazioni), “il peccato originale dell’Europa è che non è costruita attorno agli uomini, ma attorno all’economia ed alla finanza”. Sì, l’Italia sta facendo parecchio con le navi che soccorrono e con l’accoglienza attivata a terra (sia pure con tutti gli affanni e le difficoltà che si conoscono, con i volontari e le comunità in prima linea a fare quanto possono), ma di mezzo c’è l’Europa appunto che sembra tergiversare. Si attende l’annunciato commissario straordinario per i problemi legati all’immigrazione, ma soprattutto si aspetta che cambi il Trattato “Dublino 3” per spalmare la concessione del diritto d’asilo su tutti i Paesi europei e non solo delegarla a quello che viene raggiunto dai profughi all’arrivo cioè, in larga misura, all’Italia. Insomma ci sono intoppi grossi da superare, mentre la morte sta bussando ai portelloni di tanti barconi. Ma possibile che la politica (e la burocrazia) siano sempre un passo indietro rispetto alle esigenze che si fanno vitali? Così come c’è da arginare la malavita che sta lucrando spudoratamente sui rifugiati, che restano in cerca di futuro e che finiscono in preda a ricatti spaventosi. Dall’Italia si fa quanto è possibile. Ma la criminalità è impiantata soprattutto sull’altra sponda, agevolata dall’instabilità politico-sociale che caratterizza la Libia ad esempio, di questi tempi. La situazione è complessa. Quindi bando alle semplificazioni od agli slogan. Ma, mentre molti si danno da fare per arginare l’emergenza, affiancando questi miserabili che sfuggono alle onde anomale ed agli scafisti criminali, restano da smuovere le coscienze, perché non si provi nemmeno a tenere le distanze. Queste tragedie ci riguardano. Anzi arrivano anche in mezzo a noi con le poche decine di profughi che pure sono accompagnati dalle nostre parti. Otto su dieci scappano da situazioni disperanti di conflitto come in Siria ed in Eritrea. E non si rilascino neanche giudizi faciloni o battute di ordinaria banalità. Ogni soluzione è migliorabile, in una strategia di accoglienza. Ma intanto ci si ponga, innanzitutto, dalla parte di chi è fuggito sperando di avere una nuova prospettiva di vita e si ritrova in mezzo a mille pastoie, dopo aver rischiato la vita in mare. L’estate, quest’anno, è anche questo stillicidio di immagini a incubo. Perché nessuno faccia finta di niente. Quel “pugno nello stomaco” che i soccorritori, a Pozzallo, hanno provato scoprendo le oltre trenta salme di profughi accatastate nella stiva del barcone, morti per intossicazione dai fumi dei motori, non deve essere scansato più di tanto. Sarebbe un tornare alla “barbarie dell’indifferenza”.
AGD – CORRADO AVAGNINA
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