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Attualità  

Il marchio dell'infamia trattarli come "pezzi"

Il marchio dell'infamia trattarli come

4 ottobre 2013

Si crede sempre di aver toccato il fondo, perché si conserva l’illusione che il male se non proprio debellato sia almeno contenuto, per il solo fatto di essere conosciuto. Rieccoci invece all’ennesima sconfitta che prende corpo con i cadaveri che vediamo allineati a Lampedusa. Una fila che pare interminabile e annuncia dolore, patimento ma anche una parola che non si vorrebbe pronunciare, eppure è l’unica che si addice alla situazione reale: schifo.

Schifo perché la persona umana è stata trattata come merce, neppure come una bestia che conserva il suo valore, proprio come uno scarto che, essendo in esubero, non costa niente sopprimere pur di ottenere il maggior guadagno possibile. Se questi sono gli esiti della nostra società civile che cosa dobbiamo aspettarci? Che cosa ci attende dietro l’angolo di questa giornata?
Non sono cadaveri dovuti a un imponderabile disastro, a una burrasca, a quel famoso “quid” che può attraversare ogni vita e ogni avventura umana. Sono cadaveri la cui sorte era segnata già ben prima della partenza, ben prima di offrire loro, da vivi ma già morti, un passaggio verso la speranza a una vita migliore. Passaggio che ha lubrificato in abbondanza le tasche dei più poveri che esistano fra i poveri: quelli che mancano di umanità, che considerano i loro simili merce.
Ritorna alla memoria la definizione degli ebrei da parte dei nazisti: “Pezzo”. Questi sono “pezzi” che una struttura vile e priva di ogni ritegno continua a usare e ad ammazzare senza alcun scrupolo.
Certamente conta l’interrogativo “come è accaduto?”, ma è superato da un altro “perché è accaduto?”.
Chi sta tacendo? Chi si gode un denaro che davvero è lo sterco del diavolo che alberga nel pensiero e nel cuore degli scafisti? Chi è la mente che organizza? Chi copre gli imbarchi?
Tutti costoro non fanno altro che schifo.
Il dolore dipinto sui volti dei sopravvissuti lacera chi lo osserva: come continuare a vivere con l’esperienza del sopravvissuto? Con la certezza che i propri cari o semplicemente chi ha tentato una via di speranza con te ormai non c’è più? Come guardare in faccia un altro, gli altri e non innestare un meccanismo di difesa immediato, pronto a scattare?
Sono esperienze che feriscono e uccidono dentro e lasceranno segno nelle generazioni future: la violenza crescerà perché viene costantemente alimentata.
I piccoli che hanno vissuto quest’esperienza traumatica e magari sono rimasti soli, dove troveranno la forza per vivere le difficoltà che ogni vita presenta?
Le lacrime dei soccorritori sono le lacrime di tutti noi che proviamo la sconfitta della nostra umanità, lo sdegno più sconvolgente.
Quando si porrà fine a questa strage?
Alimentare le partenze, sorvegliare le coste, sono palliativi, sono delle aspirine quando il male non è un raffreddore ma un terribile tumore, un cancro che rode dentro. È necessario andare alla radice, diagnosticarlo, chiarirlo.
L’impotenza avvinghia la persona normale che vive la sua quotidiana e che non è là, a Lampedusa.
Chi conosce la relazione con Dio sa che con la preghiera si trova là, presente dinanzi al mare che rimanda le sue onde e può camminare fra cadavere e cadavere e sapere che ormai ciascuno si trova al cospetto di Dio, giunto a casa. Sa anche però che se tutto proviene dalle Sue mani, tutto è posto nelle nostre. Perciò bisogna agire, bisogna trovare i canali che impediscano questa tratta famigerata.
“Una vergogna”, ha gridato Francesco, ma ha anche aggiunto: “Uniamo i nostri sforzi”, non stiamocene tranquilli a casa, a goderci il tepore nelle serate d’autunno.
I nostri soccorritori sono coinvolti in un’impresa che supera le loro forze psicologiche, che strema la popolazione di Lampedusa. Non vogliamo aiutarli?
Il nostro civile “Mare Nostrum”, ricco di civiltà, di cultura, di bellezza mozzafiato, ora è ridotto a un cimitero e le sue acque azzurre sono disseminate di occhi sbarrati che la profondità ha inghiottito. È un marchio infamante che la storia leggerà sempre come un turpe schifo.

Cristiana Dobner

 

“OGGI È UN GIORNO DI PIANTO” DICE IL PAPA RICORDANDO LA TRAGEDIA DI LAMPEDUSA ED INVITA TUTTI A SPOGLIARSI DELLA MONDANITÀ

Città del Vaticano, 4 ottobre 2013 (VIS). Seconda tappa della Visita Pastorale di Papa Francesco ad Assisi è stato il Vescovado: qui nel 1206 San Francesco, davanti al padre Bernardone – che infastidito dalla sua condotta lo aveva fatto processare – e al Vescovo Guido – rappresentante dell’Autorità ecclesiale alla quale il Poverello si era appellato – si spogliò dei suoi abiti e dei suoi beni e proclamò Dio come suo vero Padre. Il Vescovo lo abbracciò e lo coprì con il suo mantello.

Nella “Sala della Spoliazione” dove accadde questo episodio, il Santo Padre ha incontrato i Poveri assistiti dalla Caritas, dopo aver ascoltato le parole del Vescovo Domenico Sorrentino che ha ricordato che Papa Francesco è il primo pontefice, in 800 anni, a visitare questa sala.

“In questi giorni, sui giornali, sui mezzi di comunicazione – ha detto Papa Francesco parlando a braccio – si facevano fantasie. ‘Il Papa andrà a spogliare la Chiesa, lì!’. ‘Di che cosa spoglierà la Chiesa?’. ‘Spoglierà gli abiti dei Vescovi, dei Cardinali; spoglierà se stesso’. Questa – ha sottolineato il Papa – è una buona occasione per fare un invito alla Chiesa a spogliarsi. Ma la Chiesa siamo tutti! Tutti! Dal primo battezzato, tutti siamo Chiesa, e tutti dobbiamo andare per la strada di Gesù, che ha percorso una strada di spogliazione, Lui stesso. È diventato servo, servitore; ha voluto essere umiliato fino alla Croce. E se noi vogliamo essere cristiani, non c’è un’altra strada”.

“Ma non possiamo fare un cristianesimo un po’ più umano – dicono – senza croce, senza Gesù, senza spogliazione? In questo modo diventeremo cristiani di pasticceria, come belle torte, come belle cose dolci! Bellissimo, ma non cristiani davvero! Qualcuno dirà: ‘Ma di che cosa deve spogliarsi la Chiesa?’. Deve spogliarsi oggi di un pericolo gravissimo, che minaccia ogni persona nella Chiesa, tutti: il pericolo della mondanità. Il cristiano non può convivere con lo spirito del mondo. La mondanità che ci porta alla vanità, alla prepotenza, all’orgoglio. E questo è un idolo, non è Dio. È un idolo! E l’idolatria è il peccato più forte!”.

“Quando nei media si parla della Chiesa, credono che la Chiesa siano i preti, le suore, i Vescovi, i Cardinali e il Papa. Ma la Chiesa siamo tutti noi, come ho detto. E tutti noi dobbiamo spogliarci di questa mondanità: lo spirito contrario allo spirito delle beatitudini, lo spirito contrario allo spirito di Gesù. La mondanità ci fa male. È tanto triste trovare un cristiano mondano, sicuro – secondo lui – di quella sicurezza che gli dà la fede e sicuro della sicurezza che gli dà il mondo. Non si può lavorare nelle due parti. La Chiesa – tutti noi – deve spogliarsi della mondanità, che la porta alla vanità, all’orgoglio, che è l’idolatria”.

“Gesù stesso ci diceva: ‘Non si può servire a due padroni: o servi Dio o servi il denaro’. Nel denaro c’era tutto questo spirito mondano; denaro, vanità, orgoglio, quella strada… noi non possiamo… è triste cancellare con una mano quello che scriviamo con l’altra. Il Vangelo è il Vangelo! Dio è unico! E Gesù si è fatto servitore per noi e lo spirito del mondo non c’entra qui”.

“Oggi sono qui con voi. Tanti di voi – ha detto il Papa ai presenti – sono stati spogliati da questo mondo selvaggio, che non dà lavoro, che non aiuta; a cui non importa se ci sono bambini che muoiono di fame nel mondo; non importa se tante famiglie non hanno da mangiare, non hanno la dignità di portare pane a casa; non importa che tanta gente debba fuggire dalla schiavitù, dalla fame e fuggire cercando la libertà. Con quanto dolore, tante volte, vediamo che trovano la morte, come è successo ieri a Lampedusa: oggi è un giorno di pianto! Queste cose le fa lo spirito del mondo. È proprio ridicolo che un cristiano – un cristiano vero – che un prete, che una suora, che un Vescovo, che un Cardinale, che un Papa vogliano andare sulla strada di questa mondanità, che è un atteggiamento omicida. La mondanità spirituale uccide! Uccide l’anima! Uccide le persone! Uccide la Chiesa!”.

“Quando Francesco, qui, ha fatto quel gesto di spogliarsi era un ragazzo giovane, non aveva forza per questo. È stata la forza di Dio che lo ha spinto a fare questo, la forza di Dio che voleva ricordarci quello che Gesù ci diceva sullo spirito del mondo, quello che Gesù ha pregato al Padre, perché il Padre ci salvasse dallo spirito del mondo”.

“Oggi, qui – ha concluso Papa Francesco – chiediamo la grazia per tutti i cristiani. Che il Signore dia a tutti noi il coraggio di spogliarci, ma non di 20 lire, spogliarci dello spirito del mondo, che è la lebbra, è il cancro della società! È il cancro della rivelazione di Dio! Lo spirito del mondo è il nemico di Gesù! Chiedo al Signore che, a tutti noi, dia questa grazia di spogliarci”.

Al termine dell’incontro, il Papa ha ringraziato tutti per l’accoglienza ed ha detto: “Pregate per me, che ne ho bisogno”.

 

lampedusa

 

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