23 Febbraio 2011
Il futuro, di qua e di là del Mediterraneo
Un editoriale di Corrado Avagnina, delegato FISC Piemonte Difficile comprendere fino in fondo quanto sta accadendo sull’altra sponda del Mediterraneo e nell’area mediorientale, con regimi scossi o caduti per le travolgenti e contagiose ondate di protesta in piazza. Pare la riedizione dell’89 quando crollò il muro di Berlino e con esso andò in frantumi la cosiddetta cortina di ferro ad est nell’Europa. Di mezzo, adesso, per le sponde italiane si aggiunge la sequenza dei barconi con i nordafricani che cercano lo sbarco nella più vicina terra europea a disposizione. Una prima problematica e percepibile conseguenza delle svolte in Tunisia ed in Egitto. Ove il vento – ancora tutto da decifrare – della libertà, per alcuni, più che invitare a riorganizzare la propria nazione segnata da anni di oppressione sembra spingere ad altri lidi confidando nelle risorse dell’Occidente. E’ evidente che non basta l’aver spezzato i regimi sul proprio suolo per sentirsi coinvolti in una ricostruzione innovativa. E poi non sembra ci siano là possibilità concrete per tutti. Piuttosto si punta su incerte certezze altrove anziché ancora su sacrifici in patria. Le disuguaglianze cocenti fanno anche rischiare la pelle nel Canale di Sicilia, per scappare comunque. Ma tutto questo non può sminuire o depistare l’importanza epocale di quanto sta avvenendo al di là del mare. E ci vorrà, da parte nostra (Italia ed Europa), la capacità di intercettare questi eventi, senza barricate o respingimenti, senza distrazioni superficiali, senza indifferenze ciniche o strumentali. Bisogna interrogarsi e non defilarsi. Il mondo cambia. Chiudere porte in faccia o chiudersi a riccio non risolve niente.
Certo non mancano le contraddizioni in terra d’Egitto e di Tunisia. Ci sono state violenze che hanno insanguinato le piazze. La Libia è in pieno scontro, col rischio di una carneficina atroce. Perché Gheddafi e i suoi – lo si sa – conoscono solo il pugno duro. Ed il bagno di sangue in atto, oltre che essere angosciante, lascia penosamente imbarazzati gli amici potenti che il colonnello ha (aveva?) in… Italia.
Non si sa quale potrà essere lo sbocco di queste piazze affollate di giovani. Ne profitterà il fondamentalismo islamico o sarà la volta, finalmente, di una democrazia meno incompiuta e meno zoppa anche nell’area musulmana? Riemergeranno i soliti noti, con i vestiti d’occasione? Ci sono ambiguità che non aiutano e non tranquillizzano. Ma intanto la molla dei giovani resta quella più evidente, nella speranza che non venga depotenziata o soffocata o azzerata. Senza idealizzare queste formidabili istanze giovanili (stando noi a distanza e recependole esclusivamente dai mass-media), non si debbono però trascurare. Sono un segnale forte, anche un po’ sorprendente, per noi piuttosto miopi nelle nostre osservazioni spesso racchiuse appena dietro l’angolo. In questi ragazzi cresciuti sotto i regimi, attrezzatisi con Internet, spinti dalla voglia di cambiare, desiderosi di libertà… c’è comunque voglia di nuovo, voglia di futuro, voglia di costruire… Sono figli, tra l’altro, di popoli che credono nella vita generando bambini senza il contagocce. Hanno una speranza, un obiettivo, un traguardo: vivere meglio, avere dignità piena, esprimersi liberamente, coltivare sogni… C’è da augurarsi che nessuno li strumentalizzi o li sgambetti. Dovranno in ogni caso rimboccarsi le maniche, sudare, tribolare… Il percorso sociale, economico, politico, culturale… non è semplice e facile davanti alle loro aspirazioni. Ma danno netta l’impressione di volerci provare, con buona dose di coraggio.
Ed il confronto con le nostre generazioni giovani non si può scansare. Dalle nostre parti infatti la giovinezza, allungata fino ai 35 anni, galleggia in un mare magnum di attese, di delusioni, di sconfitte, di lagnanze, di disillusioni, di rassegnazioni… Un giovane su cinque non cerca neanche più un lavoro in Italia, in questo momento di crisi complessa. Con il titolo di studio non si trova un’occupazione adeguata, ricavandone frustrazioni indotte. Il precariato imperversa. Il sistema non consente molti varchi. L’aria da respirare appare asfittica. La politica si occupa di Ruby ed anche l’opinione pubblica è tutta (o quasi) calamitata lì o nei pressi sempre più avvilenti. Un ragazzo appena laureato, ma con nessuna prospettiva di lavoro, diceva in un incontro: “Mi sento senza futuro!”. Il contrario di chi, forse, sull’altra sponda del Mediterraneo il futuro se lo vuole giocare tutto. Qui (sul suolo italico) ci si sente già sconfitti da uno strano benessere – a corrente alterna – che non prevede protagonismo giovanile se non per alcuni privilegiati o quasi? Possibile che ci si debba arrendere a logiche che mortificano le nuove generazioni?
Insomma siamo a tu per tu con mondi decisamente contrapposti e complicati. Ma il futuro non può sparire dall’orizzonte dei giovani. Così come lo stesso futuro deve essere aperto per chi se l’è visto per decenni sottratto. Chi darà futuro a queste sponde di giovani, così diversi ma anche così vicini?
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