8 Marzo 2019
Il caso di Asia Bibi. Il rapporto fra società e religione nei paesi islamici

Riportiamo di seguito la conferenza tenuta dal giornalista Rodolfo Casadei a Pinerolo, lo scorso 4 marzo.
Buona sera e grazie di avermi invitato a parlare stasera di Asia Bibi e del rapporto fra società e religione nei paesi islamici. Asia Bibi, contadina cristiana di un villaggio del Punjab, grande regione del Pakistan, e madre di 5 figli, fu arrestata nel giugno del 2009 con un’accusa di blasfemia contro il profeta Maometto, fu condannata a morte nel 2010. Dopo molti ricorsi è stata assolta nell’ottobre 2018 dalla Corte suprema del Pakistan, dopo aver trascorso in carcere più di 9 anni da detenuto in attesa di giudizio. Dopo quella data è stata trasferita in una località segreta, in attesa di emigrare all’estero. Il 29 gennaio 2019 la Corte suprema ha respinto l’ultimo ricorso contro la sua sentenza, e da quel momento il caso si considera chiuso. Resta aperta la questione dell’emigrazione di Asia Bibi e della sua famiglia, che non si sentono più sicuri in Pakistan.
Io però stasera ho voluto che il nostro incontro esordisse con un filmato che non parla di Asia Bibi, ma che parla del concetto di apostasia nell’islam; cioè del rinnegamento della fede musulmana nei paesi islamici. Se noi vogliamo capire fatti come quelli che sono avvenuti e stanno avvenendo intorno ad Asia Bibi, dobbiamo capire cosa i musulmani pensano del rapporto fra religione e politica, fra religione e società, fra religione e legge civile, fra religione e diritti umani. Il video parla di queste cose, e in particolare parla del tema dell’apostasia, cioè dei musulmani che eventualmente abbandonano l’islam per un’altra religione, e ci aiuta a capire tutte queste cose.
Il filmato si trova sul canale Youtube dell’università di Al Azhar, la più prestigiosa università islamica del mondo sunnita. I sunniti sono il 90 per cento di tutti i musulmani del mondo. Chi parla nel filmato è l’attuale rettore di Al Azhar, lo sceicco Ahmed al-Tayyeb. Dunque in un certo senso la figura più ufficiale e più prestigiosa dell’islam sunnita. Che come sapete non ha un papa, non ha un vertice, ma ha tanti giuristi, gli ulema, che sono gli studiosi incaricati dell’interpretazione ortodossa del Corano e degli Hadith, cioè delle parole di Maometto. Il video è recente, è del 2016, Al-Tayyeb è quello che in Occidente si dice un musulmano moderato, va d’accordo col presidente dell’Egitto al-Sisi, che nel 2013 ha preso il potere con un colpo di Stato contro il presidente Morsi che era sostenuto dai Fratelli Musulmani. Al-Tayyeb è stato ricevuto da papa Francesco in Vaticano e ha ricevuto a sua volta il papa al Cairo. Recentemente insieme a Papa Francesco che si è recato in visita negli Emirati Arabi Uniti, al-Tayyeb ha sottoscritto il Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, che è una dichiarazione d’intenti comune non solo sui rapporti fra cristiani e musulmani, ma rivolta a tutti gli uomini del mondo, credenti e non credenti. Nel documento leggiamo un brano come il seguente: «La libertà è un diritto di ogni persona: ciascuno gode della libertà di credo, di pensiero, di espressione e di azione. Il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani. Questa Sapienza divina è l’origine da cui deriva il diritto alla libertà di credo e alla libertà di essere diversi. Per questo si condanna il fatto di costringere la gente ad aderire a una certa religione o a una certa cultura, come pure di imporre uno stile di civiltà che gli altri non accettano».
Ma in questo filmato al-Tayyeb dice delle cose un po’ diverse. Cosa dice al-Tayyeb all’intervistatore? Per chi non comprende l’arabo e per chi non legge l’inglese, traduco in italiano. Dice:
«Se l’apostasia si presenta sotto forma di crimine, infrazione o alto tradimento, è del tutto naturale che sia trattata come un crimine che deve essere combattuto, e deve comportare una certa punizione. Ma se l’apostasia non costituisce un pericolo o un crimine contro la società, credo che la società non debba occuparsi della cosa. Dobbiamo fare attenzione al fatto che queste idee di diritti umani sono come bombe a orologeria.
La mia opinione è –l’ho detto anche in Occidente- che nessuna società musulmana potrà mai considerare il sesso libertino, l’omosessualità e tutto il resto come diritti della persona. Le società musulmane considerano queste cose delle patologie che devono essere combattute e curate.
Il problema è che la civiltà islamica e la civiltà occidentale sono differenti. La nostra civiltà è basata sulla religione e sui valori morali, mentre la loro civiltà è basata sulle libertà personali e su alcuni valori morali.
Come ho detto, se un apostata ha abbandonato l’islam per odio verso di esso, e con l’intenzione di agire contro di esso, questo è considerato alto tradimento, perché noi siamo una società musulmana, che pratica l’islam da 1.400 anni e prima altre religioni per 5 mila anni. In questo caso l’apostasia è una ribellione contro la società. E’ una ribellione sia contro la religione che contro ciò che è considerato sacrosanto dalla società.
- Qual è la punizione per un apostata?
I giuristi contemporanei, come i giuristi antichi, sono concordi nel dire che si tratta di un crimine. Praticamente tutti. E sono d’accordo che all’apostata deve essere chiesto di pentirsi, e se non si pente dovrebbe essere messo a morte».
In 24 paesi islamici o con regioni a maggioranza islamica ci sono leggi che puniscono l’apostasia; in 13 di questi è punibile con la pena di morte: Afghanistan, Iran, Malaysia, Maldive, Mauritania, in alcuni stati della Nigeria settentrionale, Pakistan, Qatar, Arabia Saudita, Somalia, Sudan, Emirati Arabi Uniti e Yemen. Negli altri 11 è punita col carcere o con multe: Marocco, Egitto, Comore, Giordania, Siria, Iraq, Kuwait, Bahrein, Oman, India, Brunei.
In Egitto il codice penale non prevede una pena precisa per l’apostasia, è lasciata alla discrezione del giudice, ma sia la Corte di Cassazione che la Corte amministrativa suprema d’Egitto (quello che da noi sarebbe il Tar del Lazio) hanno sentenziato che «è completamente accettabile che dei non musulmani abbraccino l’islam, ma per unanime consenso non è permesso ai musulmani aderire a un’altra religione o diventare una persona senza religione». Nella realtà, in Egitto ci sono state condanne di apostati, però condannati facendo riferimento alla legge sulla blasfemia, quindi condannati per essere stati blasfemi.
Al-Tayyeb, dal punto di vista della situazione generale, è un moderato, perché dice: se è una questione privata, l’apostasia non va punita. Se è un crimine contro la società, se è alto tradimento contro la società, allora va punita. L’apostasia è punibile con la morte non perché offende Dio: Dio si difende da solo, non ha bisogno di essere difeso dagli uomini –questa è una frase che si trova anche nella dichiarazione congiunta di papa Francesco e di al-Tayyeb. L’apostasia è punibile con la morte perché mette in pericolo la società.
Allora qui dobbiamo chiederci che concezione hanno della società gli islamici, diversa da quella che hanno gli occidentali del XXI secolo. Al-Tayyeb lo dice: «La nostra civiltà è basata sulla religione e sui valori morali, mentre la loro civiltà è basata sulle libertà personali e su alcuni valori morali». Questo significa che per i musulmani la religione è il collante della società, è ciò che tiene insieme la società. Se tu abbandoni pubblicamente, polemicamente la tua fede musulmana, tu indebolisci la società, tu metti in pericolo la sopravvivenza della società. Per questo ti condanniamo. In Occidente siamo arrivati a pensare, con l’illuminismo e col liberalismo, che una società può esistere ed essere coesa indipendentemente dalla religione; nel mondo islamico questa idea è condivisa solo da una ridotta minoranza; la grande maggioranza dei musulmani e i rappresentanti più autorevoli dell’islam pensano invece che la religione è indispensabile alla coesione e alla sopravvivenza di una società.
Nell’islam non c’è separazione fra religione e società, fra religione e politica, perché la vita politica e sociale trova il suo fondamento nella religione. Tutte le legislazioni dei paesi islamici sono, almeno in parte, ispirate alla sharia, cioè alla legge coranica: la legge vieta o permette ciò che il Corano vieta o permette.
Dal 1969 57 stati fanno parte dell’Organizzazione della cooperazione islamica che ha sede a Gedda, nell’Arabia Saudita. Questi sono stati che cooperano fra di loro sulla base del fatto che sono paesi islamici. Conoscete un’organizzazione dei paesi cristiani? O dei paesi buddhisti? O dei paesi ortodossi? O dei paesi protestanti? No. Gli unici stati che si riuniscono e cooperano a partire dalla loro identità religiosa sono quelli islamici.
Quello che s’è detto per l’apostasia vale anche per la blasfemia, soprattutto in Pakistan, che è l’unico paese, che io sappia, che prevede la pena di morte per blasfemia. La blasfemia è punita in qualche modo in molti paesi del mondo, di ogni religione. In Italia la bestemmia è punita non penalmente ma come illecito, a norma del codice civile con una multa, non dal codice penale.
In Pakistan le leggi contro la blasfemia sono state istituite durante la colonizzazione britannica, quando il Pakistan faceva parte ancora dell’India. Sono state rese severissime dal presidente Zia ul-Haq nel 1986. Zia è stato il presidente che ha islamizzato il Pakistan. Voi direte: ma come, il Pakistan è nato come stato musulmano. Si sono separati dall’India nel 1947 per non essere governati dalla maggioranza indù. Sì, ma il Pakistan come lo intendeva Muhammad Jinnah, il padre della patria, non doveva essere una repubblica teocratica islamica, doveva essere il paese degli indiani di cultura musulmana. Per Jinnah i non musulmani dovevano avere gli stessi diritti dei musulmani. Il Pakistan è nato in termini analoghi a quelli in cui è nato lo stato di Israele: i sionisti volevano uno stato per gli ebrei, ma non una teocrazia ebraica. La maggior parte dei sionisti era atea. I fondatori del Pakistan volevano uno stato di impronta musulmana, ma non una teocrazia. Solo nel 1956 il Pakistan viene dichiarato repubblica islamica, e solo dalla metà degli anni Settanta, con la presidenza di Zia ul-Haq, vengono approvate leggi religiose. Fra esse nuove leggi sulla blasfemia.
Il presidente Zia, che è il presidente che insieme agli americani sostiene i mujaheddin contro i sovietici in Afghanistan, punta sull’islamizzazione del Pakistan per rafforzare il consenso intorno alla sua persona. Lui era salito al potere con un colpo di Stato militare. Lui introduce la lapidazione, l’amputazione delle mani nelle punizioni legali. E irrigidisce le leggi sulla blasfemia. Grazie a lui e a uno dei suoi successori, Nawaz Sharif, la legge da allora prevede l’ergastolo per chi profana il Corano e la pena di morte per chi insulta o dissacra, a voce o per iscritto o in altro modo, il nome di Maometto.
Si è detto: sì, sono state emesse sentenze capitali, ma nessuna sentenza di morte è mai stata eseguita. Certo, ma 62 persone sono state uccise a causa di queste leggi! 62 persone uccise durante l’arresto, in cella mentre erano detenute, fuori dal tribunale mentre stavano entrando o uscendo dalla corte, ecc. Oppure a causa del fatto che le accuse di bestemmia sono rilanciate dagli altoparlanti di una moschea, e i presunti colpevoli sono stati linciati.
Ci sono state persone arrestate per aver bruciato cartacce fra le quali si dice vi fossero pagine del Corano
Persone arrestate per aver buttato via biglietti da visita col nome Muhammad.
Fra il 1987 e il 2016 sono state denunciate per blasfemia 1.472 persone. Allora in Pakistan i musulmani sono il 96 per cento, sunniti e sciiti sommati insieme; gli indù sono l’1,85%, i cristiani sono l’1,6 per cento, gli ahmadi, che sono una setta islamica che i musulmani considerano eretica, sono lo 0,2 per cento. Se noi guardiamo la religione dei denunciati, scopriamo che 730 sono musulmani (quindi il 50 per cento), gli ahmadi sono 501, quasi il 40 per cento!, i cristiani 205, cioè quasi il 15 per cento! Quindi: i denunciati appartengono sproporzionatamente alle minoranze religiose.
Le minoranze vengono colpite perché sono deboli. C’è stato il caso di un signore che ha accusato un cristiano di blasfemia e poi si è impadronito del lotto di terra che era stato assegnato dalle autorità al cristiano. C’è stato un giovane cristiano accusato di blasfemia perché aveva una tresca amorosa con una ragazza musulmana, ed è stato ucciso in carcere e fatto passare per suicidio.
Appena due settimane fa due coniugi musulmani hanno accusato quattro donne cristiane del quartiere per blasfemia. Secondo la loro testimonianza, avrebbero rubato una copia del Corano per rovinarla immergendola in un bidone di acqua sporca..
Quando la notizia si è diffusa, una folla di musulmani ha attaccato le famiglie cristiane del quartiere e la vicina chiesa. Circa 200 famiglie sono state costrette ad abbandonare il quartiere. Ora, 3 delle 4 donne accusate sono figlie della proprietaria della casa di cui i due coniugi musulmani erano inquilini. La donna, cristiana, ha allontanato dalla casa i due inquilini a causa di problemi che avevano creato con il vicinato. I due musulmani si sono vendicati accusando di blasfemia le figlie della padrona di casa cristiana. In realtà la copia del Corano nell’acqua ce l’aveva messa l’inquilina cacciata, per poi accusare i cristiani. La donna è stata arrestata, e accusata a sua volta di blasfemia.
Le minoranze vengono colpite perché sono deboli, e perché sono minoranze: con la loro stessa esistenza mettono in pericolo l’identità della società islamica, la sua unità, la sua compattezza.
Non tutti i musulmani la pensano così. Certamente non la pensa così il giudice della Corte Suprema che ha formulato il verdetto di assoluzione, dopo 9 anni di prigione, di Asia Bibi, Mian Saqib Nasir. «Io, come anche gli altri magistrati del collegio giudicante, amo il profeta Maometto e sono pronto a sacrificare la mia vita per difendere il suo onore», ha dichiarato. «Ma noi non siamo giudici solo per i musulmani. Come possiamo condannare a morte qualcuno senza avere le prove? (…) Chi accusa una persona di un reato deve dimostrarlo portando le prove. E non dimentichiamoci dell’Hadith nel quale Maometto disse: “Badate! Chiunque sia crudele e duro verso i membri di una minoranza non musulmana, o limiti i loro diritti, o li carichi di pesi che non possono sostenere, o tolga loro qualcosa contro la loro volontà; Io (Profeta Maometto) mi lamenterò di lui nel Giorno del Giudizio» (Abu Dawud)”».
Se noi andiamo a leggere il dispositivo della sentenza, scopriamo che è pieno di riferimenti al Corano e all’islam. La sentenza inizia addirittura con la shahada, la professione di fede musulmana: «Io testimonio che non c’è altro Dio degno di essere venerato all’infuori di Allah, e testimonio che Maometto è l’Ultimo Messaggero di Allah». E prosegue: «La professione di fede sopra riportata, che è ritenuta essere l’essenza dell’Islam e la cui recitazione ci rende musulmani, si spiega da sé e testimonia che non c’è altro Dio all’infuori di Allah e che il nostro Profeta Maometto (pace e benedizioni su di lui) è l’Ultimo Messaggero di Allah. È la nostra dichiarazione di fede nell’invisibile, il nostro credo: chinare le nostre teste davanti a nostro Signore Allah, ammettendo il fatto che non c’è nessuno come Lui».
La sentenza di assoluzione di Asia Bibi ha visto anche la concurring opinion di un altro giudice. Nei sistemi giudiziari che si ispirano al sistema anglosassone, un giudice che aderisce al verdetto della maggioranza della Corte con motivazioni diverse da quelle della maggioranza, può esprimerle in una dichiarazione a parte. Sentite cosa dice il giudice Asif Saeed Khan Khosa: « Le affermazioni fatte (dagli accusatori – ndr) davanti al tribunale hanno rivelato che la presunta blasfemia è stata commessa dalla ricorrente cristiana dopo che le sue colleghe musulmane avevano insultato la religione della ricorrente e avevano ferito la sua sensibilità religiosa solo perché lei credeva in Gesù Cristo e lo seguiva. Secondo il Sacro Corano la fede di un musulmano non è completa finché questi non crede in tutti i Santi Profeti e Messaggeri dell’Onnipotente Allah, compreso Gesù Cristo (Isa figlio di Maryam) (pace e benedizioni su di lui), e tutti i Libri Sacri della rivelazione dell’Onnipotente Allah, compresa la Sacra Bibbia. Da questo punto di vista insultare la religione della ricorrente da parte delle sue colleghe musulmane è stato un atto non meno blasfemo. L’Onnipotente Allah, il Creatore dell’umanità, sapeva che un essere umano le cui fede e sensibilità religiosa vengono insultate attaccherà e risponderà a tono, ed è per questo che il Sacro Corano ordina: «E non insultate coloro che essi invocano all’infuori di Allah, affinché non insultino Allah per ostilità e ignoranza. Abbiamo reso gradite a ogni comunità le proprie azioni. Ritorneranno al loro Signore, ed Egli li renderà edotti riguardo al loro comportamento» (Surah Al-An’am: versetto 108) Le colleghe musulmane della ricorrente avevano violato il comandamento dell’Onnipotente Allah insultando la Divinità in cui la ricorrente credeva e la religione che lei seguiva. E anche se le imputazioni dell’accusa nei confronti della ricorrente fossero state verificate, si sarebbe trattato da parte della ricorrente di una reazione non dissimile da quella da cui ha messo in guardia l’Onnipotente Allah».
Cosa deduciamo da questa sentenza e dalle parole dei giudici? Che nelle società islamiche la religione è al centro del sistema giuridico, politico e civile. Tutto è fatto nel nome di Dio. Ci sono quelli che vogliono mettere a morte Asia Bibi in nome di Allah, e ci sono quelli che assolvono Asia Bibi in nome di Allah. C’è l’avvocato musulmano di Asia Bibi (Asia Bibi ha avuto avvocati cristiani e musulmani), quello che ha vinto la causa, Saiful Malook, che dice: «Ho già cominciato a ricevere minacce di morte e la mia sicurezza non è in alcun modo garantita. Ma anche se dovessero uccidermi, rifarei quello che ho fatto e continuerei a fornire aiuto legale a tutte le persone, cristiane o musulmane. Infatti, è meglio morire da uomo coraggioso che vivere come un topo, da uomo timoroso».
Il quotidiano in lingua inglese Dawn, il più antico del Pakistan, che è letto da più di 1 milione di persone ogni giorno, dopo la sentenza della Corte Suprema ha scritto: «Una grave ingiustizia è stata evitata e per questo c’è da essere grati. (…) Il Parlamento deve cambiare la legge sulla blasfemia e porre fine all’impunità di coloro che lanciano false accuse».
Chi invoca la riforma delle leggi sulla blasfemia in Pakistan rischia la vita e talvolta la perde. Ed è quello che successe nel 2011 a due sostenitori della liberazione di Asia Bibi, il ministro cristiano Shabaz Bhatti, di cui tutti voi avete sentito parlare, e il governatore del Punjab Salman Taseer, che era musulmano. Taseer aveva presentato una domanda di grazia per Asia al capo dello Stato; delle leggi sulla blasfemia diceva: «La legge sulla blasfemia non è una legge creata da Dio. E’ una legge fatta dagli uomini. Fu introdotta dal generale Zia ul-Haq e la parte che prevede la pena di morte fu stabilita da Nawaz Sharif. E’ una legge che offre agli estremisti e ai reazionari il pretesto per prendere di mira i deboli e le minoranze».
Salman Taseer fu ucciso dalla sua stessa guardia del corpo il 4 gennaio 2011. Al suo funerale di Stato fu difficile trovare un imam che guidasse la cerimonia religiosa. 500 imam scrissero una lettera invitando a boicottare il funerale e proibirono di fare le condoglianze alla famiglia. Ci furono manifestazioni di solidarietà con l’assassino, pagine di fan su Facebook. A una manifestazione con 50 mila persone a Karachi il leader di un partito islamista disse: «C’è un Mumtaz Qadri in ogni famiglia pakistana». Mumtaz Qadri era il nome dell’assassino. Quando fu condotto in tribunale, all’ingresso c’erano persone che gettavano fiori dove lui camminava. Invece né il capo dello Stato né il primo ministro né altri ministri rilasciano dichiarazioni di solidarietà alla famiglia di Taseer, e ad altri esponenti politici che vennero minacciati. Un figlio di Taseer venne rapito da estremisti e tenuto prigioniero per 5 anni. Un altro figlio dovette emigrare in America. Alla fine Mumtaz Qadri venne impiccato nel 2016.
Ancora oggi gli estremisti sono forti in Pakistan. I due partiti che guidano le proteste contro l’assoluzione di Asia Bibi si chiamano Tehreek-e-Labbaik Pakistan e Muttahida Majlis–e–Amal alle elezioni del luglio scorso hanno preso, sommati insieme, 4 milioni e 800 mila voti. Sono più dei voti che ha preso Forza Italia alle elezioni del marzo scorso.
Dunque possiamo dire che in Pakistan sul tema di come trattare le minoranze religiose non islamiche c’è una considerevole divisione, ma il risultato finale è l’oppressione delle minoranze, anche se una coraggiosa parte dei musulmani si oppone a questa oppressione.
LASCIA UN COMMENTO
Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. Visualizza l'informativa privacy. I campi obbligatori sono contrassegnati *