5 Febbraio 2012
Giornata Nazionale per la vita: i giovani in primo piano
Intervista all’on. Carlo Casini, presidente nazionale del Movimento per la Vita Nei primi giorni di gennaio l’onorevole Carlo Casini, presidente nazionale del Movimento per la Vita, è stato a Pinerolo per incontrare il Vescovo, Pier Giorgio Debernardi. Dopo l’incontro privato si è soffermato a parlare “di vita”: ne è nata una lunga e articolata intervista di cui riportiamo i passaggi salienti. Sul canale di youtube di Vitadiocesana è disponibile la versione integrale.
“Giovani aperti alla vita” è il tema che i vescovi italiani hanno proposto per l’annuale giornata. Perché questa scelta?
C’è un comune denominatore di tutte le Giornate per la Vita che hanno iniziato ad esserci nel 1979. É un sussulto della chiesa italiana contro la legge sull’interruzione della vita del 1978. L’episcopato italiano decise di esprimere la sua non rassegnazione: queste giornate, oltre che essere un momento educativo permanente, vogliono essere segno di non acquiescenza. Il tema di quest’anno è la giovinezza: che cosa vuol dire essere giovane per un singolo e per uno stato? È solo un dato anagrafico o no? «La giovinezza – scrivono i vescovi nel loro messaggio – è coraggio, senso dell’avventura, fiducia nelle proprie forze, ripetersi: ce la posso fare!» Nei centri di aiuto alla vita dove s’incontrano donne che stanno per avere un aborto riflettuto, sentito, pensato e talvolta ordinato, o che vengono dopo averlo compiuto (cosa che lascia una traccia di dolore nel loro cuore) ci si rende conto dell’importanza della giovinezza.
Tu non sopprimendo tuo figlio salvi te stessa e dimostri che non ti sei rassegnata. Alle donne che hanno abortito diciamo, per prima cosa, di lasciarsi abbracciare dall’amore di Dio: Lui ama comunque. Poi chiediamo loro di ritrovare la loro giovinezza, intesa come coraggio.
Per quanto riguarda lo stato oggi si parla solo di crisi economica ma il problema più grande, è legato al crollo delle nascite. Oggi in tutto il mondo c’è la paura e l’inverno demografico. In Italia noi abbiamo oltre 5 milioni di bambini uccisi con il bollo dello stato. Se ci fossero oggi quale risorsa sarebbero? Forse la situazione economica sarebbe diversa.
Centri di aiuto alla vita e consultori: qual è la situazione attuale?
Posso capire che uno stato per ragioni di cattiva politica, per impossibilità pratica di fare ciò che si deve fare, per compassione delle donne che abortiscono e per un oscuramento della coscienza – per cui conta la libertà intesa come facoltà di fare ciò che si vuole – non voglia vietare l’aborto. Ciò che non posso capire è che non si faccia tutto il possibile per evitarlo, attraverso strumenti di promozione sociale, di educazione, di sostegno e di condivisione. I nostri Centri di aiuto alla vita possono dire a testa alta di aver salvato non meno di 130.000 bambini. Se poche persone, con pochi mezzi, spesso emarginate dalla società civile, hanno raggiunto questo risultato chissà cosa potrebbe fare la volontà di un popolo intero e dei potenti mezzi dello Stato. I consultori dovrebbero essere un aiuto alla vita. Ora però a ben vedere il panorama italiano, a parte poche eccezioni, è completamente diverso: il consultorio, infatti, è il luogo dove si tranquillizza la donna verso l’aborto. Occorre una trasformazione dei consultori e si può fare con un po’ di buona volontà. I centri di aiuto alla vita tentano di collaborare, senza pretesa di essere presenti, ma la maggior parte delle volte non ci riescono. Ci accontenteremmo che il consultorio pubblico conoscesse la nostra esistenza e ci indicasse alle donne. Dove i centri aiuto alla vita sono stati indicati come luogo di aiuto e ascolto, molte vite sono state salvate.
Dalle ultime statistiche risulta che tra gli operatori sanitari aumenta il numero di quelli che fanno obiezione di coscienza. Ci conferma questa tendenza?
Queste statistiche preoccupano molto quelli che sono favorevoli all’aborto. Una giornalista dell’Espresso mi ha chiesto la stessa cosa qualche tempo fa. Lei si rispondeva dicendo che sono gli egoismi degli obiettori che, per far carriera, fanno una finta obiezione di coscienza. In realtà, secondo lei, fanno aborti clandestini e non condividono l’apertura alla vita. Io le risposi dicendo che in realtà è l’esatto contrario. Prima di tutto ci sono autentiche conversioni. Basti pensare a Bernard Nathanson, capostipite dell’abortismo americano: lui stesso ha praticato molti aborti, poi però si è convertito. Non alla religione. Ha accettato di guardare le ecografie. Da quel momento è diventato un’attivista per la vita. Poi si è convertito al cattolicesimo. Una strada verso Dio che parte dalla contemplazione della vita. Queste cose avvengono anche in Italia. Medici che hanno trovato Dio attraverso la contemplazione di un’ecografia.
Inoltre la legge sull’aborto in Italia era stata presentata come una legge di misericordia per i casi estremi: violenza carnale, ecc… Per cui i medici, se non erano proprio cattolici convinti, lo praticavano per stare vicino alle donne. Poi hanno capito che l’aborto non è questo. È una cosa a richiesta della donna, talvolta per motivi egoistici. Ed è sempre una sofferenza per lei. In molti casi la motivazione si può superare. Mi diceva un amico medico: «Alla fine fai gli aborti tutte le settimane e ti viene lo schifo per il tuo lavoro. Io non ho fatto il medico per uccidere ma per salvare e servire la vita». Ed è così che nasce l’obiezione di coscienza. La medicina è per la vita e non può esser usata al servizio della morte.
Patrizio Righero
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