30 luglio 2017. È una luminosa domenica d’estate, cammino sul sentiero di un bosco, in Alta Valle di Susa, a Château Beaulard. Al mio fianco Valentina, Gabriele e Diego, tre dei tanti giovani cresciuti da don Paolo Gariglio. Mi stanno accompagnando ad intervistare don Paolo, presso la casa in montagna dove da anni il sacerdote di Nichelino accoglie tutti i membri della comunità, offrendo turni di esercizi spirituali, vacanze o formazione, secondo le esigenze specifiche di ciascuno.
Mentre saliamo, i tre mi parlano delle opere del don, di che cosa ha fatto per loro e per tanti coetanei. Scopro così che ha fondato la comunità Nicodemo, è stato delegato per i giovani della Federazione Italiana Esercizi Spirituali. Ha portato in Piemonte la pregevole esperienza della Federazione Scout d’Europa. Ha fondato la testata free-press “Nichelino comunità » e la radio omonima. Ha realizzato la rivista spirituale “Il vento”. Mi dicono che è perfino pilota d’aerei. Nel frattempo ha anche trovato il tempo per scrivere una trentina di libri. Insomma, un personaggio a metà strada tra don Bosco e il leggendario aviatore Francesco Baracca.
Mi sono spinto così in alto per far conoscere il vero don Paolo, contro le tante polemiche unilaterali sorte nei giorni scorsi attorno al suo libro “Ti amo: la sessualità raccontata agli adolescenti”.
Arriviamo in tempo per la messa e troviamo il don pronto ad accoglierci. È uscito da poco dall’ospedale, anzi, il giorno prima di essere dimesso: «I miei giovani non potevano aspettare». Intanto scorgo nei suoi occhi, segnati dal tempo, ma vividi come il suo acume, una gioia immensa. Partecipo alla messa, che conclude il campeggio dei lupetti-scout d’Europa. Pranziamo in un’atmosfera familiare. Mi si dà anche l’occasione di scorgere cosa sia qui il “dialogo interreligioso”, grazie al bel rapporto tra il don, la comunità e il cuoco musulmano, che partecipa alle attività dei campeggi e vive nella canonica della Santissima Trinità di Nichelino. Finito il pranzo, don Paolo mi ospita nel suo studio per l’intervista.
Che cos’è per lei l’educazione?
L’educazione per me è tentare di ripetere ciò che faceva don Bosco. È avere un cuore che ama. Sapete che l’amore è agape ed eros; agape, cioè, amore materno, della madre che ama i suoi bambini, amore fontale, come l’Amore di Dio. E poi, eros, cioè amore paterno, puro e appassionato – anch’esso come l’Amore di Dio –, persino artistico, che, attraverso il “metodo preventivo”, diventa capace di togliere da davanti il naso dei ragazzi tutto ciò che li può pervertire, mostrando loro tutto ciò che li può entusiasmare verso la luce, verso l’Alto.
Ci può parlare della comunità terapeutica Nicodemo?
Nel 1977, ero parroco di Nichelino, da oltre un anno, dopo dieci anni di servizio presso la parrocchia di San Luca, e mi sono reso conto del problema, enorme, della droga. Alla fine di quell’anno, il consiglio pastorale, che esisteva da poco, propose – pensa, con il mio consenso di parroco –, di costruire una grande cancellata davanti alla chiesa nuova della Santissima Trinità. Perché? Di notte alcuni ragazzi e ragazze andavano ad urinare davanti al portone della chiesa.
Progettavamo di costruire la cancellata in ferro per allontanare quei giovani. Ad un certo punto, sono rientrato in me stesso e ho pensato al muro di Berlino, che allora era ancora in piedi e divideva le persone: «Ma come, mi difendo da questi ragazzi? Quanto costa, 18.000.000 di lire? No, non voglio il cancello che divide. Con questi soldi apro un alloggio in Via Toti, sempre a Nichelino, e incomincio a raccogliere i ragazzi di notte». Venivano a prendere il caffè e noi li invitavamo a dormire nelle quattro stanze che avevamo a disposizione. Così è nata la comunità Nicodemo, che ho trasportato pure a Château per sette anni, quasi otto. E mentre accoglievo questi ragazzi, mi sono venute in aiuto le suore vincenziane, grazie a due grandi figure: suor Giuseppina e suor Lucia.
Ci racconti qualcosa dell’esperienza come delegato per i giovani della Federazione Italiana Esercizi Spirituali…
Mi sono interessato alla Federazione su invito del suo stesso fondatore, l’allora vescovo di Alessandria, Monsignor Almici. Così, per decenni sono stato dapprima consigliere e poi delegato per i giovani.
Don Paolo, la scorsa settimana, ha sollevato polemiche la distribuzione di un suo libro ai giovani delle parrocchie di Nichelino, all’interno delle attività estive.
Il libro “incriminato” affronta il tema dell’omosessualità dedicandogli il capitolo intitolato “Una malattia dell’amore”. Nelle primissime righe, si legge: «L’omosessualità è la tendenza a trovare la gioia sessuale con persone dello stesso sesso. Non è un orgoglio l’essere omosessuale, ma una sindrome, che va pazientemente curata, decisamente combattuta, possibilmente guarita e il malato va accolto con amore e stima». Le parole “malato”, “sindrome” e più avanti “anomalia sessuale” hanno allertato i rappresentanti del mondo Lgbt, che si sono precipitati a “criminalizzare” la distribuzione di quel testo ai giovani. Che cosa può dirci a proposito?
Secondo me il libro va bene. Però se l’editore decidesse di ristamparlo, come ho già detto a chi, con “trabocchetto”, mi ha intervistato precedentemente, userei un altro tipo di linguaggio per non dare l’impressione di voler offendere alcuno; e lo farei sempre alla luce di quanto il Catechismo della Chiesa Cattolica insegna.
Ha parlato di “trabocchetto”, che cosa vuol dire?
Il trabocchetto, magari fatto in buona fede, consiste in questo: mentre sono in ospedale con tutte le mie flebo, che non mi hanno permesso di seguire 3-4 giorni di polemica, mi telefona il vicario episcopale per le comunicazioni sociali della Diocesi di Torino, il mio amico don Livio De Marie, esprimendomi la sua solidarietà e chiedendomi se accettavo di fare una chiacchierata ed eventualmente rispondere ad alcune domande di un giornalista, suo carissimo amico. Naturalmente ho detto di sì, che chiamasse pure.
Il giornalista ha incominciato a parlarmi della sua vita: «Siamo quasi colleghi, perché sono ex prete»; io gli ho detto: «Non officerai, ma rimani comunque prete in eterno. Lui mi ha detto: «Bene» e poi ha aggiunto: «Veniamo alla domanda. Rifarebbe il libro?». Ho risposto con quanto ho asserito prima.
Poi ci salutiamo mandandoci tanti abbracci e augurandoci di incontrarci presto. L’indomani ricevo la telefonata di molte persone, le quali mi fanno notare che l’intervistatore ha manipolato le mie affermazioni.
Qual è la tesi centrale del suo libro Ti amo: la sessualità raccontata agli adolescenti?
I principi dell’amore cristiano secondo il catechismo della Chiesa Cattolica.
Perché è importante educare i giovani ad una corretta concezione della sessualità?
Perché se tacciamo, li educano gli altri. E se sarà la civiltà liquida ad educarli, salterà la famiglia e quindi il genere umano.
Un’ultima domanda don Paolo, che cosa intende per civiltà liquida?
«Rispondo con due piccoli esempi. Da una parte vi sono alcuni che chiedono di legittimare l’eutanasia per Fabiano Antoniani, in arte dj Fabo; al contempo, vi sono altri che accusano la Chiesa e le autorità civili di non aver fatto abbastanza per evitare l’uccisione di Charlie Gard. Dunque, dobbiamo far morire le persone o dobbiamo farle vivere?
Questa schizofrenia fa emergere la confusione che rende liquida la nostra civiltà. Non a caso, essa vive di principi in negativo: divorzio, aborto, nuovi “tipi” di famiglia, eutanasia. I quali vengono imposti con il dominio psicologico delle masse; e chi osa esprimere contrarietà verso ciò, è subito bollato come nemico pubblico. Siamo tornati al periodo del terrore imposto dalla rivoluzione francese. Ma – ripeto – se noi tacciamo, altri educheranno i nostri giovani. E a rischio non vi è soltanto la fede, ma l’uomo stesso, il genere umano.
Daniele Barale