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Attualità  

Dodici anni di Papa Francesco

Dodici anni di Papa Francesco

Il 13 marzo 2025 ricorrono i primi 12 anni di pontificato di Papa Francesco, dalla sua elezione nel 2013 al suo recente ricovero, nel segno di una Chiesa umile e vicina ai poveri.

«Buonasera». Non è svanita la sorpresa del primo saluto di Papa Francesco, 12 anni fa, il 13 marzo 2013, alla folla in piazza San Pietro. Jorge Mario Bergoglio vive l’inizio del 13° anno di pontificato al «Policlinico Gemelli» dove è ricoverato dal 14 febbraio scorso e dove ha superato momenti molto difficili, per cui i sanitari hanno sciolto la prognosi di un uomo di 88 anni, che ha subito da giovane l’asportazione di parte di un polmone.

La salita di Jorge Mario Bergoglio al soglio di Pietro inizia la mattina del 7 marzo di 12 anni fa. Nelle riunioni preparatorie del Conclave si alzò fra i suoi fratelli cardinali – c’erano anche due subalpini, arcivescovi emeriti: Severino Poletto di Torino e il gesuita Carlo Maria Martini di Milano – e parlò 3 minuti e mezzo dei 5 stabiliti. Riassume efficacemente la situazione critica della Chiesa, che aveva visto l’11 febbraio l’annuncio di Papa Benedetto XVI che rinunciava al papato: «Si è fatto riferimento – disse Bergoglio – all’evangelizzazione, ragion d’essere della Chiesa. Paolo VI parla della “dolce e confortante gioia di evangelizzare”. È Gesù Cristo che ci spinge. Evangelizzare implica zelo apostolico e presuppone nella Chiesa la “parresia” di uscire da sé stessa. La Chiesa è chiamata a uscire da sé e andare verso le periferie, non solo geografiche ma anche esistenziali, quelle del mistero del peccato, del dolore, dell’ingiustizia, dell’ignoranza e dell’assenza di fede, del pensiero, di ogni forma di miseria. Se la Chiesa non lo fa diviene autoreferenziale e si ammala».

«La Chiesa è autoreferenziale quando crede di avere luce propria e smette di essere “mysterium Lunae, mistero della Luna”, immagine usata dai Padri della Chiesa: come la Luna è poco brillante perché manca di luce, ma di notte brilla riflettendo la luce del Sole, così la Chiesa non ha altro scopo che riflettere Cristo. Quando smette di farlo e cerca di vivere di luce propria dà luogo a quel male così grave che è la mondanità spirituale. Pensando al prossimo Papa, un uomo che, attraverso la contemplazione e l’adorazione di Gesù, aiuti la Chiesa a uscire da sé stessa verso le periferie esistenziali, la aiuti a essere madre feconda che vive della dolce e confortante gioia dell’evangelizzazione». Il cardinale domenicano Christoph Schönborn, ora arcivescovo emerito di Vienna, commenta con il vicino: «Abbiamo trovato quello che cerchiamo».

Il 12 marzo mattina in San Pietro «Missa pro eligendo Romano Pontifice» in latino con 180 cardinali, elettori e ultraottuagenari, presieduta dal decano, l’astigiano Angelo Sodano. Nel pomeriggio i 115 elettori entrano in Conclave nella Cappella Sistina in una celebrazione solenne e spettacolare, presieduta dal cardinale vicedecano Giovanni Battista Re. L’«extra ommes» è intimato alle 17:33 dal maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie mons. Guido Marini. La prima fumata nera è alle 19.41. Il giorno dopo, mercoledì 13 marzo, altra fumata nera alle 11:38 dopo due scrutini. Alle 19:06 la fumata bianca annuncia Papa Francesco che accetta, sceglie il nome, indossa il vestito bianco, riceve l’ossequio degli elettori. Un Conclave sprint, 2 giorni e 5 scrutini, si conclude in meno di 26 ore. In definitiva l’argentino di salde origini piemontesi Bergoglio, secondo indiscrezioni, ha avuto più di 95 voti su 115. Alla domanda, risponde: «Accepto, anche se sono un grande peccatore. Vocabor Franciscus». Il francescano brasiliano Claudio Hummes, arcivescovo di San Paolo, lo abbraccia: «Non dimenticare i poveri». Nella «stanza delle lacrime», indossa talare, mantellina e fascia bianca, tiene le vecchie scarpe nere e la vecchia croce pettorale.

In serata fa alcune telefonate a Buenos Aires: al suo dentista per annullare l’appuntamento; all’edicolante che ogni giorno gli consegna «La Naciòn». «Sì, sono davvero Jorge Bergoglio, la chiamo da Roma» e lo ringrazia per i tanti anni di servizio; all’unica sorella sopravvissuta, Maria Elena: «Senti, è successo e ho accettato». «Ma come stai, come ti senti?». «Scoppia a ridere e mi dice: “Sto bene, rilassati”». «Avevi un ottimo aspetto in televisione, un’espressione raggiante. Vorrei poterti abbracciare». «Ci stiamo abbracciando, siamo insieme. Sei molto vicina al mio cuore».

Il potere è servizio; nella misericordia c’è la tenerezza di Dio; gli uomini devono essere custodi dei doni di Dio, gli altri uomini, il creato. Sono le tre idee guida dell’omelia pronunciata da Papa Francesco il 19 marzo 2013, festa di San Giuseppe, per l’inizio del pontificato davanti ai grandi delle Terra, a una folla strabocchevole di fedeli, ai rappresentati delle altre Chiese cristiane e di altre religioni, all’immensa platea dell’umanità collegata attraverso i media e la rete.

Un discorso ispirato che tocca i cuori degli uomini e delle donne di buona volontà e, in primo luogo, dei responsabili delle Nazioni. A tutti chiede: «Siate i custodi dei doni di Dio» dopo aver spiegato che «la vocazione di custodire non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. È il custodire l’intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto dalla Genesi e come ci ha mostrato San Francesco d’Assisi; è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo. È il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore. È l’aver cura l’uno dell’altro nella famiglia: i coniugi si custodiscono reciprocamente, poi come genitori si prendono cura dei figli e, con il tempo, anche i figli diventano custodi dei genitori».

Pier Giuseppe Accornero

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