5 Febbraio 2014
Dalla parte della vita
Quante volte, e a buona ragione, sentiamo deprecare la cosiddetta fuga di cervelli. Una perdita di intelligenze che, per mancanza di prospettive e possibilità, lasciano il nostro paese, lo impoveriscono, lo privano di un futuro, di possibilità, risorse e speranze che sono nate in esso e che in esso dovrebbero poter fiorire e dare frutti. Non è difficile trovare grande concordia nello stigmatizzare una tale emigrazione forzata che colpisce in particolare giovani con eccellente preparazione e professionalità. Non altrettanta esecrazione si registra invece a proposito di un altro impoverimento che ferisce in modo ancora più profondo e radicale la nostra società, anche se in modo silenzioso e nascosto: il vuoto e l’assenza lasciato da coloro ai quali è stato impedito di nascere. Anche questo, dicono i vescovi nel messaggio per la Giornata della Vita 2014, dovrebbe essere deplorato, e ancor più fortemente. È infatti un dato incontestato che in Italia l’aspettativa di vita media cala vistosamente se la si considera non a partire dalla nascita della persona ma dal suo concepimento. Se come è vero il problema principe di oggi è la crisi, non solo economica ma anche culturale e valoriale, è lecito allora chiederci cosa dovrebbe essere al primo posto nelle preoccupazioni di amministratori e governati e nel dibattito sociale veicolato dai media. Forse la questione della liberalizzazione dello “spinello”? Oppure le schermaglie tra le diverse anime dei partiti politici, giocate fra personalismi, fragili equilibri, suscettibilità, ripicche, permalosità? O ancora i temi legati ai diritti delle coppie omosessuali, trattati quasi sempre con la spettacolarizzazione banalizzante e l’esasperazione tipica dei talk show? Senza voler sminuire l’importanza di questi argomenti, crediamo di no. Pensiamo invece che abbiano ragione i vescovi a ricordarci che la questione fondamentale per la società nella sua interezza è di capire quale modello di vita e quale cultura si voglia scegliere. Al primo posto – afferma il documento CEI – deve esserci il desiderio e la possibilità di generare il futuro attraverso la generazione di nuove vite, e poi il sostegno a tutte quelle scelte che vanno in tale direzione. Il riferimento non è solamente al dramma dell’aborto, che rimane pur sempre l’aspetto più doloroso e cruento della questione, ma anche ad un contesto politico, sociale e culturale che, di fatto, mortifica il desiderio di mettere al mondo figli dei giovani sposi. L’aspirazione alla maternità è infatti valutata nella percentuale di 2,2 figli per donna, mentre il tasso reale di maternità è solo di 1,3 figli. Impossibile – sostiene ancora la CEI – non mettere in relazione questi dati con la carenza di adeguate politiche familiari, con la pressione fiscale e con una cultura diffidente verso la vita. Ogni nascita, ogni nuova vita porta nella famiglia e nella società il suo contributo originale che avrà un peso sul futuro di tutti. Ogni figlio è, e va visto, come un dono, venuto ad arricchire il nostro mondo, vero bene sociale, oltre che segno fecondo dell’amore degli sposi. I vescovi, ricordando le parole di papa Francesco, esortano perciò tutti a farsi custodi della vita ed a rafforzare sempre più una «alleanza per la vita», dal concepimento alla sua fine naturale. Tale alleanza non solo è un antidoto contro la cultura dello scarto degli esseri umani difettosi, ma è pure capace di suscitare un autentico progresso, anche materiale, per la nostra società. Un simile obiettivo richiede però la fondamentale collaborazione di chi può intervenire nel dibattito e nelle scelte politiche. È a questo livello che devono, infatti, essere create le condizioni perché uomini e donne responsabili, padri e madri impegnati possano effettivamente svolgere il loro compito, anche educativo, per superare l’attuale crisi demografica e tutte le forme di esclusione ad essa collegate. Soprattutto è importante comprendere qual è la vera posta in gioco. Non la supremazia di una parte sull’altra in uno scontro ideologico, non la vittoria di un particolare schieramento politico, ma il bene comune, la prosperità della società nel suo insieme, la sua stessa possibilità di futuro. Ecco perché ci piace stare dalla parte della vita.
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