14 marzo 2015

Ci sono stati avvistamenti nella valli di Susa e Chisone e dell’area pinerolese. E subito qualcuno ha gridato: «al lupo, al lupo!», invocando una repentina riapertura della caccia anche se si tratta di un animale protetto. Ne abbiamo già parlato qui  raccogliendo diversi commenti (qualcuno anche piuttosto vivace!).

Per evitare inutili allarmismi e per offrire una panoramica esaustiva ci siamo rivolti ai responsabili e agli esperti del progetto “Life Wolfalps” e dei parchi naturali “Alpi Cozie” e “Alpi Marittime”. Ma abbiamo anche voluto incontrare un pastore di alto pascolo che, pur chiedendo di rimanere anonimo, ci ha rilasciato volentieri un’intervista.

Il pastore: il lupo predatore ma non carnefice

I mesi estivi lui li trascorre da solo. In alta montagna con la sola compagnia del suo gregge.
La miglior difesa contro eventuali attacchi di lupi? Il pastore non ha dubbi: la soluzione non è l’abbattimento ma le dovute precauzioni. Quindi recinzioni elettrificate, non lasciare incustodite le greggi, rafforzare la sorveglianza con cani “maremmani”.

La ricetta simile a quella che suggeriscono gli esperti dei parchi e del progetto Wolfalps: «i due sistemi di prevenzione più utilizzati sono l’utilizzo delle recinzioni elettrificate (singole o doppie), per rinchiudere gli animali specialmente di notte, e la difesa dei cani da guardia. Di sicuro è la combinazione di diverse misure di prevenzione a permettere di ottenere i risultati migliori.

Ma, una cosa importantissima da sottolineare è questa: quali che siano i metodi di prevenzione impiegati, perché siano davvero efficaci è tuttavia indispensabile la presenza del pastore in alpeggio.

È il pastore che decide come disporre le recinzioni elettrificate ed è sempre il pastore che deve gestire i cani da guardiania addestrati per difendere il gregge… il che implica un surplus di lavoro e di stress non indifferente!»

Ne è convinto il “nostro” pastore che ricorda come oggi il vero problema sia la mancanza di fondi che ridiano impulso all’allevamento in montagna. «Molti guardiani di greggi lamentano il fatto che se ricevessero sussidi atti a porre in atto le dovute misure preventive, all’atto pratico si spenderebbe di meno che risarcire poi gli allevatori per le unità di bestiame assalite».

E racconta: «c’è un mio amico che, anche se parzialmente invalido per una caduta, non vorrebbe rinunciare alla vita libera dei suoi pascoli. Però non dispone di recinzioni idonee né tanto meno di fondi da investire per tutelare il suo gregge.

Le sue pecore, munite solo di una piccola campanella, vagano libere per gli alti pascoli. Le informazioni sul suo bestiame le riceve unicamente dagli alpinisti che scendendo a valle si fermano da lui a bere un bicchiere di vino o dagli escursionisti che vanno ad acquistare formaggio». È facile, quindi, che il lupo possa assalire un gregge così indifeso. Eppure il pastore non lo stigmatizza. «ll lupo – conclude – seppur predatore, non è un carnefice!».

A detta dei cacciatori (e non solo) i lupi si stanno espandendo in modo esponenziale. È vero?
La popolazione alpina di lupo è in una fase favorevole, ma “esponenziale” fa pensare a un aumento allarmante e incontrollabile del numero degli animali: non è assolutamente così. Gli ultimi dati aggiornati risalgono al 2012, quando è stato interrotto il monitoraggio e riportano la stima di 35 branchi su tutte le Alpi, 16 branchi stabili confermati in Regione Piemonte di cui 5 nella Provincia di Torino, 9 nella provincia di Cuneo.

A novembre 2014, nell’ambito del progetto LIFE WOLFALPS, è partito il primo monitoraggio invernale a livello alpino, che questa primavera darà i primi dati aggiornati sulla consistenza e sulla distribuzione dei lupi sulle Alpi.

Come sono arrivati i lupi sino nelle nostre Alpi?
I lupi che vivono stabilmente sulle Alpi Occidentali, e che oggi stanno facendo la loro ricomparsa nelle Alpi Centrali e Orientali, appartengono alla popolazione italiana: sono i discendenti diretti dei lupi sopravvissuti all’estinzione nell’Appennino centro-meridionale all’inizio degli anni ’70, che da allora hanno ricolonizzato prima le aree dell’Appennino settentrionale, per poi ripopolare gradualmente le Alpi Occidentali per espansione naturale all’inizio degli anni ’90.

Oggi, sulle Alpi centro-orientali stanno riapparendo per dispersione naturale anche i primi lupi provenienti dalla popolazione dinarica della Slovenia. Quella della reintroduzione dei lupi è quindi solo una leggenda metropolitana, anche se dura a morire: è infatti ampiamente documentato e dimostrato che i lupi sono tornati sulle Alpi sulle loro zampe.

A differenza di altre specie, scomparse dalle nostre montagne del tutto o in parte e in seguito reintrodotte dall’uomo, come per esempio il gipeto (estintosi del tutto) o lo stambecco (sopravvissuto solo all’interno del Parco nazionale del Gran Paradiso), il ritorno del lupo è frutto di una ricolonizzazione naturale, facilitata da alcuni fattori.

Lo spopolamento delle zone alpine e rurali e l’abbandono delle coltivazioni hanno portato a un progressivo aumento delle superfici boscate e del numero di ungulati selvatici (caprioli, cinghiali, daini, cervi, camosci, etc.) di cui il lupo si nutre.

Si tratta di trasformazioni dell’ambiente alpino che sono sotto gli occhi di tutti i frequentatori della montagna. L’aumento delle prede disponibili e la protezione accordata alla specie a livello nazionale ed europeo hanno ulteriormente contribuito a creare condizioni favorevoli al ritorno del lupo sulle Alpi.

La storia di Ligabue, il lupo investito nell’appennino parmense e di cui è stato monitorato per mesi il cammino fino alle Alpi Occidentali, è solo uno dei casi più noti che dimostrano la grande capacità di dispersione della specie.

L’episodio documentato più recente è quello del lupo Slavz, che dalla Slovenia si è stabilito, al termine di una dispersione di centinaia di chilometri in provincia di Verona, dove ha dato origine al branco della Lessinia insieme a Giulietta, femmina della popolazione alpina a sua volta approdata sull’altipiano dopo un lungo vagare.

È interessante notare come la diffusione naturale di alcune specie, come il lupo e la vipera, venga ritenuta una cosa impossibile, per cui si ipotizzano assurdi piani di immissione degni di “Mission Impossible”, mentre l’espansione di altri animali (cornacchie e gazze, per esempio) è vissuta con indifferenza e altre specie reintrodotte a scopi venatori, come il capriolo, il cinghiale, il cervo, con conseguenze non sempre positive per l’ecosistema e per l’agricoltura, sono accettate meglio.

È vero che a nostra insaputa dei lupi potrebbero accoppiarsi con branchi di cani randagi che ne favorirebbero una crescita non programmata?
No. È vero che lupi e cani, che biologicamente appartengono alla stessa specie, possono accoppiarsi dando vita a cuccioli ibridi, a loro volta capaci di generare. Nelle Alpi questo fenomeno non è stato documentato e uno degli obiettivi del progetto “Life Wolfalps” è proprio quello di prevenire e controllare gli episodi di ibridazione, che sono una minaccia per il lupo in natura poiché costituiscono una fonte di inquinamento genetico e comportano la perdita irrimediabile di adattamenti acquisiti nel corso di milioni di anni attraverso la selezione naturale.

Il miglior metodo di prevenzione è contrastare il randagismo canino, invitando tutti i proprietari a non lasciare mai gironzolare incustoditi i propri animali. In ogni caso, anche in quelle zone dell’Appennino (Mugello, Senese, Amiata grossetano e Parco naturale della Maremma) dove sono stati riscontrati casi di ibridazione, questo non ha portato ad alcun incremento incontrollato della popolazione.

Il lupo può attaccare l’essere umano?
Nel passato sono stati documentati in Italia attacchi in contesti rurali e alpini molto differenti da quelli attuali, in cui la presenza umana era massiccia e il numero di prede selvatiche a disposizione di molto minore.

Gli ultimi episodi di aggressione all’uomo risalgono alla fine dell’Ottocento, in un tempo in cui le campagne e le valli alpine erano così popolate che ogni metro coltivabile era abitato e fatto fruttare e tutti gli animali cacciabili finivano in pentola: la nostra specie era una diretta concorrente del lupo, cui contendeva habitat e risorse alimentari. Oggi la situazione è ben diversa: lo spopolamento delle campagne e di molte valli alpine, l’avanzamento della copertura boschiva e l’abbondanza di ungulati selvatici (cinghiali, caprioli, cervi, mufloni, etc.) fanno sì che uomini e lupi possano condividere gli stessi territori senza competizione.

Inoltre una gran parte degli attacchi all’uomo del passato sono da attribuirsi ad animali affetti da rabbia, una patologia oggi debellata nel nostro paese: la possibilità di essere aggrediti oggi da un lupo affetto dalla malattia è dunque di fatto assente. In conclusione, il lupo è un predatore carnivoro opportunista e intelligente, che non riconosce l’uomo come possibile preda, ma, dopo secoli di caccia, lo identifica come una minaccia da cui allontanarsi il più rapidamente possibile.

Pertanto possiamo continuare a passeggiare per i boschi come abbiamo sempre fatto, senza temere alcuna aggressione, riservando al lupo l’atteggiamento di curiosità e prudente rispetto che va tenuto con ogni animale selvatico.

È vero che il lupo per procacciarsi il cibo scende di notte vicino alle abitazioni isolate situate ai margini delle montagne?
È del tutto normale che i selvatici si avvicinino alle borgate e ai paesi durante la notte, soprattutto nel periodo invernale, quando si stabiliscono a quote più basse e sfruttano volentieri strade e percorsi battuti, invece di affrontare la fatica di muoversi in neve fresca. Lo fanno caprioli e cinghiali e lo fanno anche i loro predatori: è da vent’anni che i lupi transitano nei pressi dei paesi nelle valli. Proprio perché si tratta di presenze tutto sommato molto discrete, nella maggior parte dei casi nemmeno ci accorgiamo del loro passaggio.

Poiché per un po’ di tempo il lupo non è stato monitorato per mancanza fondi della Regione Piemonte, qualcuno sostiene che i lupi in circolazione siano molti di più di quelli monitorati.
Contare i lupi è una scienza esatta: chiunque decida di punto in bianco che «ce ne sono troppi» perché un amico di suo cugino forse ne ha visti quattro di sfuggita in un bosco o perché ha trovato tre predazioni di capriolo in una settimana parla a vanvera. Punto. I lupi sono animali estremamente elusivi, dei “fantasmi” difficili da intercettare direttamente, per cui solo un’analisi paziente dei segni di presenza che lasciano dietro di sé permette di capire davvero quanti sono i lupi su un territorio e come sono distribuiti.

La stima del numero di lupi e del numero di branchi viene determinata infatti tramite la combinazione di più tecniche: la conta tramite tracciatura su neve (snowtracking) durante l’inverno, la tecnica di wolf-howling (che consiste nel produrre ululati per stimolare risposte da parte dei lupi presenti nei dintorni, per registrarne la presenza e il numero), le osservazioni certe documentate spesso tramite trappole video-fotografiche e le analisi genetiche condotte su campioni biologici.

In particolare, queste ultime si basano sull’estrazione di DNA dalle feci dei lupi o da altri campioni quali peli, urine, tessuti e saliva. In base alle analisi genetiche è possibile determinare il genotipo unico dell’individuo, che costituisce una sorta di “carta d’identità” del lupo campionato, che viene generalmente individuato attraverso l’attribuzione di una sigla composta da una lettera (M o F a seconda del sesso dell’individuo) e da un numero progressivo.

L’analisi genetica permette di studiare gli spostamenti dei singoli lupi nel corso delle stagioni e di stimare il numero dei lupi presenti su un territorio senza dover catturare fisicamente gli animali.
È intuitivo capire che un monitoraggio attendibile della popolazione di lupo a livello alpino richiede un lavoro di squadra complesso e coordinato, condotto sul campo in modo sistematico da persone appositamente formate. Un’impresa mai tentata prima d’ora, che il progetto Life Wolfalps sta portando a termine: i risultati del monitoraggio saranno disponibili a partire dalla primavera 2015.

In Francia è stata aperta la caccia al lupo. A detta di alcuni cacciatori, i lupi fuggirebbero nel nostro territorio per cercare protezione.
In Francia non è stata aperta la caccia al lupo: in deroga alla normativa europea, è stato dato il permesso, verificato il rispetto di alcune condizioni imprescindibili, l’abbattimento di un ridottissimo numero di esemplari – 3 animali abbattuti su 24 abbattimenti autorizzati nel 2013 – di cui è dimostrato l’impatto negativo e non mitigabile con i sistemi di prevenzione sul bestiame.

C’è una bella differenza. Abbattere un lupo è l’ultima carta da giocare quando tutte le altre soluzioni sono state tentate senza successo. In ogni caso, anche se da domani si sparasse a ogni lupo presente sul territorio francese, lo scenario dell’invasione dei lupi sul versante italiano rimane lo stesso fantascienza, per più di un motivo.

In primo luogo perché i branchi di lupi sono territoriali e legati alla zona che occupano: l’eliminazione di un membro della famiglia non fa sì che tutto il gruppo decida di spostarsi altrove. Inoltre, anche se, per ipotesi, un lupo o un branco di lupi provasse a occupare un territorio dove è già insediato un altro branco, l’esito sarebbe uno scontro, non la moltiplicazione dei branchi né l’aumento dei loro componenti.

Se incontro un lupo come mi comporto?
Il lupo è un animale elusivo e gli incontri diretti sono normalmente poco frequenti anche nei territori dove è nota la sua presenza stabile. Infatti l’uomo ha perseguitato da sempre il lupo, che si sente minacciato dalla nostra presenza e raramente si lascia avvistare e avvicinare. Talvolta i giovani animali sono meno diffidenti, ma è certo che non si lasciano avvicinare se sono in buona salute.

L’episodio recente dei lupi in paese a Pragelato è da ritenersi del tutto eccezionale: sono infatti state le abbondanti nevicate di inizio febbraio a spingere molti animali selvatici ad avvicinarsi alle strade battute e ai paesi data l’estrema fatica e difficoltà nello spostarsi nella neve fresca.

Siccome il lupo ha un buon senso dell’olfatto e dell’udito, normalmente si allontana prima di essere avvistato. Se poi si vuole essere sicuri di non incontrare un lupo in un bosco, basta parlare ad alta voce o cantare. In ogni caso, se ci imbattiamo in un lupo, è preferibile non fare nulla.

Nel caso lo si sorprenda da vicino, si avrà giusto il tempo di vederlo fuggire via. Se, anche facendo rumore, eccezionalmente il lupo non si ritira e ci sentiamo a disagio, si può indietreggiare tranquillamente parlando ad alta voce, come faremmo con un cane allarmato, senza correre o scappare, oppure fermarci e cercare di apparire grandi e pericolosi, alzando le braccia o lo zaino. Vige poi il buon senso: non bisogna assolutamente cercare di prelevare dei cuccioli dalla tana o di avvicinare un lupo mentre sta consumando una carcassa.

Se poi capitasse di assistere a una predazione su animali selvatici, non dobbiamo interferire in nessun modo con l’azione di caccia del lupo per “salvare” la preda: il lupo è un fattore di selezione naturale dell’ambiente e come tale va rispettato.

Se invece incontriamo dei lupi che stanno già mangiando una preda, evitiamo di disturbarli allontanandoci subito in silenzio. Se per caso i lupi scappassero, spaventati dal nostro arrivo imprevisto, evitiamo comunque di avvicinarci e di toccare la carcassa predata.

In ogni caso, se si ha la fortuna di avvistare un lupo, è bene annotarsi, luogo e ora e segnalare l’osservazione al 1515 o all’Ente locale di competenza (Parchi, Province): ogni contributo è importante per il monitoraggio del lupo!

 

Lodovico Marchisio

Il servizio è stato realizzato grazie alla collaborazione di Irene Borgna (attività di comunicazione del progetto LIFE WOLFALPS del Parco naturale Alpi Marittime); Francesca Marucco (responsabile tecnico-scientifico dell’intero progetto LIFE WOLFAPS); Nadia Faure (responsabile della comunicazione Ente di gestione delle aree protette delle Alpi Cozie; Elisa Ramassa (responsabile tecnico scientifico del progetto LIFE WOLFAPS per il Parco Alpi Cozie).

FOTO DI DANTE ALPE E CINZIA FORNERO DA ARCHIVIO AREE PROTETTE ALPI COZIE (1)