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Attualità  

Cristiani sotto attacco. Intervista al direttore di "Aiuto alla chiesa che soffre"

Cristiani sotto attacco. Intervista al direttore di
7 marzo 2016

In Italia è una realtà ancora poco conosciuta. Eppure “Aiuto alla Chiesa che Soffre” è una fondazione (di diritto pontificio) che esiste dal 1947, presente e attiva in tutto il mondo. «Nella laicissima Francia – spiega il diretto di ACS Italia, Alessandro Monteduro – lo scorso anno sono stati raccolti quasi 40 milioni di euro. Questa è la reazione di un popolo che di fronte alle restrizioni laiciste rafforza il suo appartenere ad una comunità cristiana offrendo un aiuto concreto a quei cristiani che rischiano di scomparire».

Lo scorso 3 marzo Monteduro ha accompagnato a Torino monsignor Joseph Coutts, arcivescovo di Karachi e presidente della Conferenza episcopale del Pakistan, per ricordare la figura di Shahbaz Bhatti, ministro cattolico, assassinato dai fondamentalisti il 2 marzo 2011 a causa del suo impegno.

Per avere una panoramica completa sulla situazione internazionale abbiamo posto alcune domande al direttore ACS.

Possiamo dire che oggi nel mondo i cristiani sono sotto attacco?

Sì. Non c’è nessuna paura a dirlo con questi termini. Sono sotto attacco. Lo dice il santo padre quando racconta che sono 200 milioni i cristiani nel mondo che subiscono la persecuzione. E lo dicono i fatti, soprattutto in alcune zone del pianeta. Un esempio è il Medio. Se in Iraq nel 2002 erano un milione e 300 mila, oggi sono 250 mila i cristiani rimasti. Se facciamo un calcolo matematico, con questa progressione tra cinque anni non troveremo più un solo cristiano in Iraq. C’è una vera e propria fuga per salvare la propria fede, la propria vita, la propria famiglia. Come vogliamo chiamarla questa aggressione se non con i termini che lei ha usato? I cristiani sono sotto attacco.

Perché questa recrudescenza di violenze contro i cristiani?

Alla base di tutto questo c’è il fanatismo. In questo momento sono con monsignor Coutts, in Italia per raccontare la figura di Shahbaz Bhatti, ministro pakistano delle minoranze religiose, a 5 anni dal suo assassinio. Stiamo raccontando un martire. Come possiamo giustificare chi ha assassinato Shahbaz Bhatti o chi ha assassinato il governatore della provincia del Punjab, un musulmano che si batteva non per la cancellazione ma per la rettifica della legge antiblasfemia, la cosiddetta “legge nera” per la quale Asia Bibi dal 2010 è ancora detenuta in attesa di una possibile pena capitale? Si può giustificare l’assassinio di due bambini che ad un matrimonio hanno fatto dei coriandoli con un giornale sul quale erano riportati versetti del Corano? Quei bambini non sapevano neppure leggere! Non è possibile dare una spiegazione al fanatismo.

Questo fanatismo è solo di matrice islamica?                                                                                 

No. Le posso raccontare dello Sri Lanka o dell’India. Qui il fondamentalismo indù è efferato e feroce soprattutto nei riguardi degli uomini della chiesa cattolica. In India hanno avuto enormi problemi con minacce e aggressioni fisiche anche esponenti autorevolissimi della chiesa locale. Nello Sri Lanka c’è il fondamentalismo dei buddisti. Solo nel 2014 sono state un centinaio le chiese distrutte dai fondamentalisti. Ma di questo non ne parla nessuno. Il fanatismo purtroppo è universale.

E le vittime non sono solo i cristiani. In Pakistan, ad esempio, vengono perseguitate tutte le minoranze religiose.

Quali sono i numeri relativi ai cristiani uccisi nel 2015?

È una domanda alla quale si può rispondere aggiungendo o togliendo uno zero. I dati che si hanno sono relativi al 2014. Sono 7.000 o 70.000? Qualcuno parla addirittura di 100.000. Ma è impossibile fare una stima di questo tipo. Ma che ne sia assassinato uno ogni cinque minuti o uno ogni due ore, cambia poco per valutare la gravità dell’attacco. A Mosul non abbiamo avuto una comunità cristiana assassinata ma un esodo: 120.000 cristiani nella notte tra il 9 e il 10 agosto 2014 hanno dovuto fare una scelta: scegliamo di lasciare tutto e trovare rifugio in un altro paese? Ci convertiamo all’Islam? Oppure scegliamo di non scegliere e rischiamo la vita? Se un discorso del genere fosse stato fatto alla comunità cristiana italiana, come avremmo reagito? A Mosul in 120.000 sono andati via e hanno detto: «restiamo cristiani»! Molti hanno trovato rifugio ad Erbil. Ad aprile andrò lì con alcuni esponenti della Chiesa italiana. Sono felice di andare con loro perché il compito di una fondazione pontificia che si occupa di questo problema è quello di far sì che le coscienze dell’Occidente non si assopiscano del tutto. Sono convinto che al loro rientro in Italia saranno ancora pastori della loro comunità ma avranno rafforzato una sensibilità nei confronti di queste chiese.

Quali i paesi più colpiti?

Nel nostro rapporto ne abbiamo profilati 22 nei quali il grado di persecuzione è più forte. Tra questi 22 il grado di persecuzione estrema è in 10 paesi. Fino a due anni fa noi ne consideravamo 6 ad estrema persecuzione. Vale a dire: Cina, Pakistan, Corea del Nord, Arabia Saudita, Iran ed Eritrea. Nell’ultimo biennio si sono aggiunti, in base alle nostre ricerche, Iraq e Siria, Nigeria e Sudan.

Sono 17, su 22 presi in esame, quelli nei quali il grado di persecuzione si è innalzato rispetto al biennio precedente.

In Cina e Corea, però, non c’è un motivo religioso.

In quei paesi possiamo parlare di un fanatismo statale che nasce da un fondamentalismo ideologico. In questi mesi siamo concentrati su Siria e Iraq ma ci proponiamo di fare un focus sulla Cina. Stiamo già lavorando in tal senso.

E l’Italia? Anche la nostra è una chiesa perseguitata?

Qualche giorno fa il cardinal Angelo Bagnasco ha parlato di una “persecuzione morale”. Condivido questa affermazione. Certo “persecuzione” è un termine forte. Nei paesi europei non possiamo parlare di persecuzione ma di fenomeni di intolleranza e in qualche caso di discriminazione certamente sì. Certo non possiamo paragonare questo stato di cose, dettato da un laicismo esasperato, con quello che stanno subendo i cristiani del Medio Oriente, ma una discriminazione è certamente configurabile.

 

P.R.

 

ACS Italia

Aiuto alla Chiesa che Soffre è una fondazione di diritto pontificio nata nel 1947 per sostenere la Chiesa in tutto il mondo. È stata creata nel secondo dopoguerra dal monaco olandese Padre Werenfried van Straaten, per aiutare i quattordici milioni di sfollati tedeschi – di cui sei cattolici – in fuga dall’Europa Orientale dopo la ridefinizione dei confini della Germania. In pochi anni il sostegno di ACS ha raggiunto rapidamente America Latina, Asia e Africa, ed oggi la fondazione pontificia realizza circa 5500 progetti umanitari e pastorali l’anno in oltre 150 paesi del mondo. Ha un ufficio internazionale a Königstein in Germania e 21 segretariati nazionali in: Austria, Australia, Belgio, Brasile, Canada, Cile, Colombia, Corea del Sud, Francia, Germania, Gran Bretagna, Irlanda, Italia, Malta, Messico, Olanda, Polonia, Portogallo, Spagna, Stati Uniti e Svizzera.

Per info: www.acs-italia.org

 

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