Viviamo in un’epoca nella quale sono ricorrenti le “Giornate”. Non c’è mese durante il quale non si celebri qualche ricordo, qualche data speciale, qualche evento. Ciò, indubbiamente, rappresenta uno stimolo positivo perché vuole richiamare l’attenzione di un’opinione pubblica spesso distratta ed orientata per lo più da riferimenti dell’economia e dalla ricerca di un (presunto) benessere materiale, piuttosto che da valori etici e morali.
Non è raro il caso, d’altra parte, che molti non conoscano il significato preciso delle varie ricorrenze: la celebrazione del 25 aprile, ad esempio, è percepita – soprattutto da molti giovani -, più come giorno di vacanza legato a qualche momento della Seconda Guerra Mondiale che non per il suo significato autentico e profondo. Pure, questo giorno, ricorda un momento simbolico e di estrema importanza per la nostra società: la Liberazione ed il definitivo superamento di un periodo oscuro della nostra storia. Questo giorno non rappresenta, però, solo la chiusura di quell’epoca: ci ricorda, piuttosto, come la Liberazione sia un evento in costante divenire, soggetto – ieri come oggi – a tensioni ed aggressioni: è un bene da realizzare e da difendere giorno dopo giorno, nella consapevolezza che la libertà non è un diritto acquisito una volta per sempre.

La storia
È importante ricordare il percorso che, a suo tempo, portò a quella data: le ansie, le paure, le operazioni militari, le stragi, gli atti di eroismo accanto a quelli dettati dalla paura e dal terrore per le azioni di un occupante straniero. In questo coacervo di sentimenti si colloca la storia di moltissimi giovani militari di allora che si dispersero anche in questo nostro territorio per il loro rifiuto di aderire alla Repubblica di Salò. La scelta non era certo semplice: o l’adesione all’Esercito repubblichino o la deportazione nella Germania nazista. O la confluenza nelle fila della Resistenza. Che cosa significasse la Resistenza non era, però, manifesto proprio a tutti: chiaro, invece, il motivo dell’allontanamento da un esercito che, nei suoi vertici, aveva tradito se stesso. La scelta, per molti di loro, venne a maturazione gradualmente, alla luce dei tragici eventi legati alle azioni dei nazi-fascisti. Molti giovani imbevuti della retorica del Regime da ex combattenti si trovarono improvvisamente a fare i conti con la propria coscienza, ad essere profondamente combattuti nel proprio spirito.

La Costituzione
In quel periodo si diffuse quello spirito di resistenza che fu alla base della successiva, nuova Costituzione. Anche noi, pure in tempi ed in modi assai diversi, siamo costantemente interpellati dallo spirito di quella legge fondamentale del nostro Stato. Forse, però, le distrazioni odierne appannano il senso di quel messaggio: ce ne accorgiamo quando, quasi con fastidio, siamo chiamati a dar attenzione a chi vive ai margini della società, a chi è anziano, malato, disoccupato. Quel richiamo al dovere della Repubblica a «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana…» sembrerebbe che spetti a qualcun altro, alla Repubblica, appunto, non a ciascuno di noi! Ancor più difficile diventa l’accettare che «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali»: qual è, infatti, l’atteggiamento più diffuso nei confronti di chi è fuggito da guerre, persecuzione o “semplicemente” da fame ed ha trovato in Italia la propria nuova patria?

Celebrare l’accoglienza
Il continuo, pressante, invito di papa Francesco ad accogliere le persone straniere, ad amarle e a non sfruttarle né opprimerle «perché voi stessi siete stati stranieri nel paese d’Egitto» è assai attuale e ci porta alla memoria quanti, nella storia del nostro Paese lo hanno lasciato per fame o per guerra. Potrebbe, in apparenza, sembrare alquanto forzoso il collegamento di questo appello rispetto a quanto accadde nei tristi anni della guerra di Liberazione: in realtà non possono essere dimenticati i numerosi atti di vero e proprio eroismo di chi accolse tanti giovani soldati dell’Esercito italiano braccati dai nazifascisti per non aver aderito alla Repubblica di Salò. È una pagina forse non sempre messa in luce come meriterebbe: si trattò di atteggiamenti non così rari tra la nostra gente che vedeva, forse, in quei giovani allo sbando il riflesso dei propri figli dispersi su fronti lontani, abbandonati a se stessi e senza aiuto. Nel gesto di chi, per tale accoglienza, corse il rischio di vedersi bruciata la cascina o addirittura di perdere la vita è il senso di una Resistenza non armata ma non per questo meno importante e decisiva per la creazione dei presupposti della nuova Italia. Dal patrimonio di quella testimonianza dobbiamo trarre gli insegnamenti utili ad affrontare le attuali sfide che connotano i nostri tempi: il 25 aprile assume, così, nuovo vigore ed estrema attualità. Pure con le differenze dei tempi e delle circostanze, lo spirito di quei gesti di accoglienza è di esempio per le sfide che, oggi, ci pongono i flussi migratori.

Un messaggio di pace
Nelle parole scritte sulla copertina di un periodico degli ex combattenti, con mano ormai tremante e sintassi approssimativa così scriveva l’ultimo degli ex-combattenti della Val Noce che recentemente ci ha lasciati: «Bisogna i Popoli stare in Pace». È la testimonianza di uno dei giovani di allora che trovarono in quella valle ospitalità, aiuto, amore. Sono le parole del testamento spirituale di chi si trovò come «straniero nella terra d’Egitto» nelle nostre valli. È il suo estremo atto di riconoscenza verso la nostra gente ed al contempo è la direzione che ha indicato con il suo gesto di gratuita ospitalità offerta ad un profugo negli ultimi anni della sua esistenza, allo stesso modo e con lo stesso spirito col quale, a suo tempo, fu qui accolto.
Proprio come noi, qui ed oggi, siamo chiamati a fare con i nostri fratelli migranti, nella consapevolezza che non c’è pace senza giustizia e non c’è giustizia senza condivisione.

Giorgio D’Aleo

004 - popolo del 25 aprile