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Approfondimenti  

Swapon Kumar Das racconta il suo impegno per i fuori casta, per le donne e per i profughi Rohingya provenienti dal Myanmar

Swapon Kumar Das racconta il suo impegno per i fuori casta, per le donne e per i profughi Rohingya provenienti dal Myanmar

Lo avevamo incontrato nel gennaio del 2016 e ci eravamo lasciati coinvolgere nella sua incredibile storia fatta di coraggio e generosità. A distanza di due anni, Swapon Kumar Das è tornato a trovarci per aggiornarci sulle attività dell’associazione bengalese Dalit di cui è responsabile.

Occorre, però, fare qualche passo indietro per ricordare chi è questo personaggio che chiameremo semplicemente Lino, il nome che lui ha scelto per il suo battesimo cristiano, e che nell’agosto del 2016 ha ricevuto il premio “Nelson Mandela” dedicato a chi apporta un contributo speciale nel campo dell’attivismo sociale. Il suo contatto con Pinerolo passa attraverso l’Associazione Ashar Gan (un tempo nota come Rishilpi) che da anni sostiene e promuove progetti di sviluppo in Bangladesh e in altri paesi svantaggiati.

Lino nasce in un villaggio del Bangladesh e fin da bambino frequenta la scuola ma, in quanto “dalit” (cioè “fuori casta”), non può beneficiare di tutti i diritti dei suoi coetanei. Loro hanno un banco, lui deve sedersi per terra. E si chiede il perché. Pur tra mille difficoltà prosegue gli studi fino alla pre-maturità. Qui però deve arrestarsi perché la sua famiglia non dispone del denaro sufficiente per pagare la tassa di iscrizione. Così, nonostante la contrarietà dei suoi genitori i quali considerano peccato l’accettare soldi da un cristiano, si rivolge ad un missionario bianco, il severiano padre Luigi Lupi. «Padre Lupi mi aiutò – racconta Lino – ed io potei diplomarmi e iniziai a frequentare la sua missione. Ad un certo punto gli dissi che volevo diventare cristiano. Lui mi rispose di pensarci bene e di chiedere il permesso dei miei genitori che acconsentirono».

Di qui in avanti la storia di Lino diventa una storia di formazione e impegno a favore degli ultimi e, recentemente, degli ultimi tra gli ultimi, cioè i Rohingya profughi dal Myanmar per sfuggire a violenze e persecuzioni. Per loro l’associazione Dalit, che già gestisce diversi centri sanitari, ha aperto un ospedale da campo per far fronte alle emergenze.

«Il campo dei Rohingya si trova nel distretto di Cox’s Bazar, a 700 chilometri di distanza dal nostro ospedale – racconta Lino -. Vado lì due volte al mese anche se questo significa 18 ore di autobus. Qui sono arrivati 2 milioni di persone, cacciate dal governo del Myanmar a maggioranza buddista che non li ha mai riconosciuti come cittadini. I Rohingya, infatti, sono una etnia di fede musulmana. Loro non hanno mai avuto diritti né per l’educazione né per la sanità. La maggior parte di loro sono analfabeti e di fatto sono più emarginati dei dalit. Ora sta venendo alla luce che moltissimi sono stati anche uccisi. Ci sono fosse comuni ma il governo del Myanmar con i bulldozer ha spianato tutto e dice: qui non c’era niente!»

Impressiona il numero: 2 milioni di profughi accolti in un paese come il Bangladesh che certo non è ricco.

«La regione di Cox’s Bazar è famosa per il turismo, lì c’è la spiaggia più lunga del mondo: 120 chilometri – prosegue Lino -. È zona di confine: il Bangladesh è separato dal Myanmar dal fiume Naf. I Rohingya sono riusciti ad attraversare il fiume e hanno trovato questa regione con molte colline. Un paesaggio bellissimo. Loro si sono sistemati su queste colline dove hanno disboscato tutto, qui hanno costruito le loro capanne. Ora in quella zona c’è stata un’alluvione. Le colline sono scoscese e le capanne crollano. Sono morti anche molti bambini.

A causa degli smottamenti è anche difficile raggiungere il nostro campo medico che segue 6.000 famiglie. Questa, inoltre, è la stagione dei monsoni».

Questa gente è aiutata da alcune organizzazioni internazionali e dal governo. «Loro vogliono comunque fermarsi in Bangladesh perché non c’è modo di tornare in Myanmar dove non li vogliono. Anche il 10% dei Rohingya che sono rimasti sta cercando fuggire. Certo è un grande problema anche per il Bangladesh. Noi siamo 170 milioni. Ora questi due milioni si aggiungono alla popolazione complessiva».

Il governo del Myanmar ha fatto un regolamento che prevede l’ingresso nel paese solo per chi ha passaporto o carta di identità, ma i Rohingya non sono mai stati riconosciuti come cittadini e quindi non possono avere questi documenti.

In questa situazione, aggravata dall’alluvione che ha portato via la nostra tenda da campo, Dalit rischia di dover chiudere il piccolo l’ospedale per mancanza di fondi. «Fortunatamente ogni tanto arriva qualche offerta, ma non riusciamo a lavorare in modo continuativo», lamenta Lino.

 

 

 

Spose bambine: cambiare si può

Oltre all’impegno sul confine, Lino, offrendoci in dono un raffinato e coloratissimo ricamo eseguito da alcune donne bengalesi, ci racconta il suo lavoro “ordinario” nell’area dove è sorta l’associazione, nel sud del paese. «Cerchiamo di coinvolgere anche i rappresentanti di alta casta soprattutto sul fronte dei matrimoni precoci che coinvolgono bambine di 10 o 11 anni. Per i genitori è una grande preoccupazione avere una figlia femmina perché bisogna dare la dote per il matrimonio e poi, se la ragazzina viene violentata, come spesso succede, nessuno la vorrà più sposare perché la colpa viene data alla bambina e non allo stupratore.

La legge dice che non si possono sposare prima dei 18 anni ma i genitori vanno dal sindaco e chiedono di cambiare l’età sul certificato di nascita e spesso il sindaco acconsente. Per questo noi cerchiamo di fare un po’ di sensibilizzazione anche con le autorità e poi cerchiamo di dare una educazione alle madri.

Dal 5 anno di vita fino alla decima classe, cioè la scuola media, aiutiamo tutti, bambine e bambini. Dopo la decima classe c’è un esame di pre-maturità. Da quel momento aiutiamo soprattutto le ragazze, in modo che almeno loro posso raggiungere la maturità, del corpo e della mente».

Dalit propone dei seminari nel villaggi, chiamando anche i sindaci e rappresentanti del governo, per mostrare loro i problemi connessi ai matrimoni precoci: difficoltà nel parto, disabilità gravi dei bambini, incapacità delle giovani madri di gestire i figli.

«Attraverso dei corsi di informatica – prosegue Lino – aiutiamo le ragazze anche a trovare lavoro. Se la donna ha un lavoro viene maggiormente rispettata. Alcune ragazze sono diventate poliziotti o militari ».

Si tratta quindi di un lavoro culturale che va a contrastare il fatalismo e la rassegnazione dei fuori casta che, per tradizione secolare, sono stati abituati a dire: questo è il nostro destino, non si può far nulla.

Un altro fronte è quello della rappresentanza: i dirigenti scolastici e della pubblica amministrazione sono tutti di alta casta. «Vorremmo che qualcuno tra i dalit entrasse nella rappresentanza politica e sindacale. Se non c’è rappresentanza nessuno si accorge di problemi di questa gente. Tre donne sono diventate responsabili del loro villaggio e questo è un traguardo importante. Una nostra ex-allieva è diventata avvocato. Due volte la settimana viene nei villaggi per aiutare le donne ad essere consapevoli dei loro diritti. Molte donne vengono violentate, ma nessuna dice nulla perché hanno paura. Quando accadono questi episodi, infatti, la colpa viene data alle donne. È una mentalità radicata. Per questo ai nostri seminari incontriamo anche gli anziani del villaggio che perpetuano queste convinzioni.

Cerchiamo di fare formazione anche attraverso rappresentazioni teatrali, in modo che imparino a vedere la loro realtà con occhi nuovi».

«È importante – conclude Lino – incoraggiare i dalit ad aiutarsi tra loro, in modo che non dipendano solo dagli aiuti esterni. L’associazione Dalit, dopo qualche anno di azione in un villaggio, cambia zona in modo da offrire al maggior numero di “fuori casta” la possibilità di migliorare la propria condizione».

P.R.

 

Il progetto Frame Voice Report

Ashar Gan Onlus si è recentemente aggiudicato il bando europeo “Frame Voice Report” che riguarda la comunicazione e la cooperazione allo sviluppo. «Noi abbiamo pensato di realizzare un documentario in Bangladesh – spiega Elisa Gioè, responsabile della comunicazione dell’Associazione – trattando alcuni obiettivi di sviluppo sostenibile, in particolare la buona salute, la parità di genere e l’accesso all’acqua, toccando anche le tematiche delle migrazioni e del cambiamento climatico. Partiremo con l’intervista di alcuni migranti bengalesi in Piemonte e poi, in autunno, andremo in Bangladesh, nel Nord dove cooperiamo con una ong bengalese e poi nel Sud, a Khulna, dove opera Lino. Con questo materiale, a partire da gennaio, proporremo dei laboratori extracurriculari nelle scuole pinerolesi: i licei Porporato e Curie e l’istituto agrario di Osasco». Gli studenti verranno poi coinvolti a loro volta per proporre laboratori per gli adulti.

Il tutto si concluderà con uno spettacolo teatrale, in collaborazione con il Piccolo Varietà, per dar voce alle testimonianze dei bengalesi

 

Un aiuto concreto

Per informazioni e per sostenere i progetti di Ashar Gan è possibile chiamare ai numeri 0121.39.87.64; 349 091 5074, oppure consultare il sito www.ashargan.org

 

 

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