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Approfondimenti  

Storie di epidemie: dalla "Peste di san Carlo" a quella de "I promessi sposi"

Storie di epidemie: dalla

«La peste che, cinquantatré anni avanti, aveva desolata pure una buona parte d’Italia, e in ispecie il milanese, dove fu chiamata, ed è tuttora, la peste di san Carlo. Tanto è forte la carità!». Alessandro Manzoni ne «I promessi sposi» racconta la peste che imperversò nell’Italia affamata nel 1629-1633 e colpì il Lombardo-Veneto, la Toscana, la Svizzera, Torino e il Piemonte. È nota anche come «peste manzoniana» perché «don Lisander» ne scrive nel romanzo e nel saggio storico «Storia della colonna infame».

Il ritratto di Alessandro Manzoni dipinto da Francesco Hayez

LA PESTE «DI SAN CARLO» DEL 1576-77 – Quando inizia la descrizione di quella del 1629, Manzoni fa riferimento a quella che aveva imperversato in Lombardia dal luglio 1576 alla Quaresima 1577 mietendo 18 mila morti, un decimo della popolazione. In Lombardia, dominata dagli spagnoli, il governatore Antonio de Guzman y Zuñiga, introduce rigide limitazioni ai viaggi: l’ingresso in città è consentito a piccoli gruppi di una dozzina di persone in possesso della «bolletta» rilasciata dalle autorità sanitarie del territorio di provenienza, che attesta l’assenza di sintomi. Il cardinale Carlo Borromeo esorta i sacerdoti a soccorrere i malati ma – raccontano gli storici – «per non divenire vettore del morbo, cominciò a conferire con i suoi interlocutori tenendoli a distanza, a cambiare spessissimo e a lavare in acqua bollente i suoi abiti, a purificare ogni cosa che toccava con il fuoco e con una spugna imbevuta d’aceto che portava sempre con sé; nelle sue visite per Milano teneva le monete per le elemosine in orci colmi d’aceto». Indice quattro processioni alle quali possono partecipare solo gli uomini adulti, in due file di una persona distanziati da tre metri; vieta la partecipazione di infetti e sospetti; guida la processione dal Duomo a Sant’Ambrogio a piedi scalzi e con una corda al collo.

LA QUARANTENA DI TUTTI I MILANESI. Il 15 ottobre 1576 il Tribunale di Provvisione, accogliendo la proposta del Borromeo, decreta la quarantena generale. Il 18 ottobre l’arcivescovo emana un editto simile per il clero, esentando solo sacerdoti e religiosi destinati all’assistenza spirituale e materiale. Poiché i milanesi non possono andare in chiesa, San Carlo fa erigere agli incroci altari in cui i sacerdoti celebrano Messe e la gente assiste affacciandosi dalle finestre. Da metà dicembre 1576 l’epidemia rallenta ma le autorità prolungano la quarantena per evitare ricadute. Il cardinale acconsente «sebbene fosse dispiaciuto perché il popolo non poté andare nelle chiese, neanche a Natale. Teneva che niuna cosa, che potesse essere di giovamento a gli infermi e a’ poveri, fosse fuori dell’officio suo».

Il lazzaretto descritto da Manzoni

 

PIÙ DEVASTANTE LA PESTE DEL 1629-1633 – Ci sono le cronache di due testimoni oculari: il medico Alessandro Tadino, che nel 1648 stampa «Raguaglio dell’origine et giornali successi della gran peste contagiosa, venefica, & malefica seguita nella Città di Milano»; e il canonico, storico e letterato Giuseppe Ripamonti, che ispira Manzoni e che nel 1640 pubblica in latino «Iosephi Ripamontii canonici Scalensis chronistae urbis Mediolani. De peste quae fuit anno 1630». Divergono sul primo caso di morte: secondo Tadino, è Pietro Antonio Lovato proveniente dal Lecchese ed entrato in città il 22 ottobre; secondo Ripamonti, è Pietro Paolo Locato proveniente dalla infetta Chiavenna in Valtellina ed entrato a Milano il 22 novembre.

L’epidemia si propaga facilmente anche grazie all’estrema povertà del popolo, dopo due anni di terribile carestia determinata da movimenti di truppe e saccheggi per la guerra Spagna-Francia per la successione a Mantova: sono coinvolti anche «i tegoli di Casale» e il Piemonte dei Savoia. È la «Guerra di successione di Mantova e del Monferrato» che fa parte della più ampia «Guerra dei Trent’anni». Il contagio è portato in Lombardia dalle truppe tedesche che penetrano dalla Valtellina dirette a Mantova. Il passaggio dei lanzichenecchi avviene nell’autunno 1629 con terribili saccheggi e devastazioni.

Un medico degli appestati

GUERRE ANCHE IN PIEMONTE NEL 1600-1630 – Torino e il Piemonte sono devastati da molti episodi bellici, come gli scontri tra cattolici e valdesi, che destabilizzano l’equilibrio sociale ed economico. Condizioni atmosferiche sfavorevoli provocano ovunque pesanti carestie, tanto che il duca Carlo Emanuele I emana un edito per calmierare i prezzi e limitare le speculazioni. Migliaia di persone abbandonano case, campagne e campi e vanno mendicare nei maggiori centri, tra cui Torino, che è un paese di 25 mila abitanti a confronto di Milano che ne ha 250 mila.

Il 2 gennaio 1630 è segnalato il primo caso di peste a Torino: un calzolaio. Le spaventose condizioni igieniche favoriscono il contagio, che dilaga anche ad Alba, Pinerolo, Saluzzo, Savigliano, nel Cuneese. Il culmine in estate con il caldo che favorisce la trasmissione. Torino vieta l’ingresso agli stranieri e sbarra le porte,

DI FONDAMENTALE RILEVANZA IL PROTOMEDICO E IL SINDACO – Giovanni Francesco Fiochetto, archiatra dei Savoia, e il sindaco Gianfrancesco Bellezia sono due personaggi fondamentali, ai quali la città ha intitolato due strade. Fiochetto instaura una rigorosa disciplina sanitaria che fa scuola in seguito. Bellezia rimane nella città abbandonata dalle istituzioni: i Savoia e la corte fuggono a Cherasco nel Cuneese. Decurione nel 1628 e primo sindaco nel funesto 1630, Bellezia affronta coraggiosamente il mandato, diventa il fulcro dell’organizzazione sanitaria, affronta l’isteria del popolo e vergognosi episodi di sciacallaggio. La peste è debellata nel novembre 1630, con l’aiuto del freddo. Su 25 mila abitanti a Torino si contano 8 mila morti (il 32 per cento); Bergamo 10 mila vittime su 25 mila abitanti (40 per cento); Milano 186 mila decessi su 250 mila (74 per cento); Verona 33 mila morti su 54 mila abitanti (61 per cento). L’Italia conta 1.100.000 morti su 4 milioni di abitanti. Il 6 aprile 1631 firmano il «trattato di Cherasco» Vittorio Amedeo I di Savoia, il legato papale Giulio Raimondo Mazzarino, i rappresentanti del Sacro Romano Impero, di Mantova e di Spagna. Si ristabilisce un relativo equilibrio. Negli anni seguenti si registrano un numero enorme di matrimoni e di nascite.

Pier Giuseppe Accornero

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