3 Agosto 2023
Lo stupore della tavola in Costa d’Avorio
Piove. Piove come sa piovere solo ai tropici. La pioggia cade diritta, a scrosci, pesante, rumorosa, inesorabile. Siamo nella stagione delle piogge qui ad Abidjan, in Costa d’Avorio, e quando piove così la vita prende un ritmo diverso, per esempio se hai appuntamento con qualcuno sai che sarà “dopo la pioggia”. Per questo mi sorprende sentire il suono del campanello: chi si sarà avventurato sotto quest’acqua per venire a trovarci? Apro la porta e mi trovo davanti Beatrice e Ismael, uno dei suoi figli, completamente fradici nonostante abbiano parcheggiato qui davanti. Si tolgono le ciabatte nell’ingresso ed entrano scalzi, lasciando grossi goccioloni sul pavimento. È da un po’ che non li vediamo e così li circondiamo e li abbracciamo festosamente, senza fare caso ai loro vestiti bagnati. Poi con grande soddisfazione Beatrice mi mette in mano una pentola ancora calda: è da poco rientrata da un viaggio nel suo paese, la Repubblica Centrafricana, ha nascosto nelle valigie ogni ben di Dio e ha cucinato per noi una specialità.
Mentre qualcuna apparecchia la tavola, io faccio sedere Beatrice e Ismael sul divano e gli offro l’immancabile bicchiere d’acqua con cui secondo l’usanza ivoriana si accolgono i visitatori. Si beve l’acqua e ci si scambia le notizie della famiglia.
Poi ci sediamo tutti a tavola e lei ci presenta con orgoglio il piatto che ha cucinato per noi: singe avec haricots, scimmia con fagioli, accompagnati da riso bianco. Con le mie compagne ci scambiamo un rapido sguardo d’intesa e rapidamente dissimuliamo la sorpresa facendo grande festa e complimenti, ringraziando Beatrice per questo gesto di vera amicizia. Lei ci riempie i piatti e poi inizia a raccontarci dei suoi anziani genitori che vivono a Bangui, delle difficili condizioni di vita in quel paese travagliato e della sua preoccupazione per loro.
“Mangiando noi descriviamo l’essenzialità dello stare al mondo, e cioè la capacità di essere in relazione”, scrive il vescovo Derio. Quanto è vero! Quante volte mi è capitato che un pasto diventi un momento di condivisione profonda, un momento per conoscersi, per entrare nella cultura delle persone che ho davanti, per accogliere il dono che l’altro è per me e a mia volta per donare qualcosa di me. In Camerun davanti ad un piatto di koki beans o di fufù con eru, come in Togo davanti agli ignami fritti o alle chenilles (bruchi) o oggi davanti alla scimmia con fagioli, ho sperimentato che al di là di cosa ci sia dentro il piatto, il condividerlo e accettarlo come un dono mi mette in relazione con l’altro, chiunque egli sia. E questa è la cosa più importante per me: non sono qui tanto per costruire pozzi o scuole o ospedali… anche per tutto questo, perché qui i bisogni sono tanti, ma la cosa principale è che sono qui per condividere, per costruire relazioni di sincera fraternità.
E lo posso fare con semplici gesti, come apprezzare con gusto la singe avec haricots cucinata da Beatrice, e preparando a mia volta un piatto di spaghetti al ragù o di tortellini alla panna che la mia famiglia mi manda da Cumiana e offrendoli ai miei amici africani.
A proposito, è ora che vada a stendere l’impasto. Il sabato sera è tradizione che io cucini la pizza, e anche se gli ingredienti non sono del tutto quelli tradizionali, ha sempre un successone!
Roberta Riboldazzi
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