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LA LEGGENDA DI CALVINO IN VAL D’AOSTA

LA LEGGENDA DI CALVINO IN VAL D’AOSTA

Faceva freddo in quel mese di febbraio, perché da un po’ di anni il clima era cambiato: era bisestile il 1536 e Giovanni Calvino, il giorno 29, dopo un susseguirsi convulso d’incontri fra i rappresentanti della Valle, fu cacciato verso la Valpelline.

Ancora oggi, nel centro di Aosta, la città che ha conservato più ricordi romani dopo la capitale d’Italia, in prossimità di quello che una volta era l’incrocio tra le due vie principali dell’antica Augusta Praetoria Salassorum, sorge un monumento che ricorda l’evento, la Croix-de-ville, una croce su un basamento, con una piccola fontanella.

Forse, però, non è proprio andata in questo modo, come ci spiega il professor Leo Sandro Di Tommaso, storico del Protestantesimo in Valle, predicatore valdese, bravo organista e famoso musicologo: «Ho condotto per anni delle ricerche su questo argomento e non ho trovato nessuna prova che documenti il passaggio di Calvino da Aosta, anche perché in quell’anno si trovava a Ferrara dalla figlia del re di Francia, che aveva sposato un Estense e proteggeva i Protestanti. Visto che dovette tornare improvvisamente al nord, è molto più probabile che sia passato da Chiavenna e poi dalla Svizzera per recarsi a Strasburgo, piuttosto che deviare verso ovest, allungando il percorso. Inoltre, in Valle sarebbe stato un signor nessuno, perché viaggiava sotto falso nome e non sarebbe stato riconosciuto. Tra l’altro, la Chiesa Valdese aderisce nel 1532, prima di Calvino, alla Riforma di Ginevra, ispirata da Berna e legata in qualche modo a distanza con l’idea di Lutero, per consentire ai Pastori di studiare all’università e noi valdesi siamo comunque luterani nel canto, perché nelle nostre liturgie semplici abbiamo il preludio, l’interludio, il postludio…».

Quindi il racconto di Calvino intento a tramare contro la Chiesa e i Savoia, nei dintorni di Aosta, sarebbe un falso storico?

«Come tutte le leggende ha un fondo di verità: il Protestantesimo, anche se in maniera sotterranea e sussultoria, serpeggiava ovunque, ma probabilmente si creò questo racconto per ottenere da Emanuele Filiberto il rinnovo delle franchigie sul donativo annuale dovuto ai Savoia. Il duca, appena rientrato, dopo la vittoria di San Quintino, era a caccia di risorse per ricostruire il suo territorio e avrebbe potuto togliere i privilegi che erano stati concessi ad Aosta, città affrancata dalle dodici signorie che la taglieggiavano, quando i suoi reggitori si erano inchinati di fronte a Tommaso I di Savoia. Dimostrare la propria fedeltà, addirittura contro uno dei capi della Riforma, che avrebbe voluto trasformare la Valle d’Aosta in un cantone svizzero, poteva essere molto utile».

In realtà, però, la grande diffusione della Riforma avviene dopo le lettere patenti di Carlo Alberto del 1848.

«Sì, così come in tutto il Regno Sardo. In realtà, non si sarebbero potuti costruire edifici sacri, ma i governi liberali molte volte chiusero un occhio e così, nel 1857, a Courmayeur, dove soggiornavano molti villeggianti provenienti dal Nord Europa, spesso protestanti, venne inaugurato il primo Tempio Valdese della Val d’Aosta: quasi un decimo della popolazione aderì alla Riforma. Ad Aosta, invece, bisognerà aspettare fino al settembre 1900, perché ci furono delle resistenze».

E nelle realtà più piccole?

«Tutte furono toccate dalla Riforma, ma vorrei citare un caso molto particolare, il villaggio di Viéring nel comune di Champdepraz, in bassa valle. Lì furono gli abitanti a crearsi da sé il Protestantesimo: recatisi a Torino, parlarono con i pastori, tornarono a casa e incominciarono una vita nuova, convincendo il novanta per cento della popolazione locale, nonostante l’opposizione dell’Abbé Charlogne, bravo poeta dialettale, ma durissimo con i valdesi. Durante il primo anno di missione venne mandata dalla Tavola Valdese, per organizzare la scuola gratuita, la maestra Louise Jourdan Malan, che venne attaccata dal parroco, ma anche dalla comunità valdese neoformata, perché non era sufficientemente aggressiva e, quindi, venne spedita via. Da notare che, ben prima dell’istituzione delle pastore, era lei a guidare il culto».

Esiste ancora quella comunità?

«Purtroppo no: sono spariti gli ultimi valdesi locali una decina d’anni fa e sono state vendute la chiesa e la casa a Champdepraz, dove due lapidi ricordano la comunità e la campanella bucherellata da nazisti e fascisti durante la guerra».

Il tempo è passato, ma la testimonianza della Chiesa Valdese in Valle d’Aosta non è venuta meno.

                                                                                                          Luca Reteuna

 

 

 

 

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