Skip to Main Content

Approfondimenti  

Kizito Mihigo: l’artista ruandese che ha dato la vita per il suo Paese

Kizito Mihigo: l’artista ruandese che ha dato la vita per il suo Paese

«Una volta ho visto un giovane molto gentile atterrare a Namur. Si chiedeva se non dovesse diventare un prete, ma ho visto che il suo cuore era soprattutto dalla parte dell’arte. Ho sentito che era fatto per l’arte e gli ho detto che, se ti presenti, alla fine ti daremo il benvenuto, ma penso che la tua vocazione sia altrove. Ho ammirato la profondità della sua preghiera e la bellezza della sua voce che ho trovato, nel miglior senso della parola, ammaliante […]».

Queste sono le parole che di recente il già primate del Belgio, Monsignor André Joseph Léonard, ha dedicato al fedele cattolico, cantante e compositore ruandese Kizito Mihigo, trovato morto il 17 febbraio scorso nella capitale Kigali.

Mihigo era nato a Kibeho il 25 luglio 1981, un paese del distretto di Nyaruguru, assurto all’onore della cronaca per  le prime apparizioni mariane del continente africano, iniziate il 28 novembre. Era un musicista di talento, giovane artista di spicco del Ruanda, nonché tra i compositori del Rwanda National Anthem (inno); ha composto oltre 380 canti per la liturgia; era anche un tutsi (umututsi) sopravvissuto al genocidio e un attivista per la pace e la riconciliazione nel suo Paese.

Quello del Ruanda fu l’ultimo genocidio del XX secolo e iniziò 26 anni fa, subito dopo la sera del 6 aprile 1994, quando un razzo colpì l’aereo in cui viaggiavano Juvénal Habyarimana e Cyprien Ntaryamira, rispettivamente i presidenti di Ruanda e Burundi, entrambi di etnia hutu. Ancora adesso non si conosce l’identità del responsabile di tale attacco. C’è chi incolpa i tutsi e chi gli estremisti hutu. L’unica certezza è che l’abbattimento fu la scintilla che provocò il massacro.

L’eccidio durò 100 giorni (7 aprile-15 luglio) e fu perpetrato a colpi di machete, spranghe e coltelli; lasciò sul terreno fra le 800.000 e un milione di persone, tra tutsi e hutu moderati; 250.000 donne vittime di violenza sessuale (il 70% di queste hanno contratto l’AIDS; dati Nazioni Unite); in poco tempo portò a uno dei più grandi esodi della storia: 2.000.000 di rwandesi cercarono rifugio nei paesi confinanti; e i tutsi furono i più colpiti: ne sopravvissero 300mila in tutto il territorio ruandese.

Cessò a metà luglio quando i soldati dell’attuale presidente, Paul Kagame, entrarono trionfalmente nella spettrale capitale Kigali.

Il giovanissimo Mihigo sopravvive con la madre ma perde alcuni dei suoi parenti, tra i quali suo padre. L’anno dopo, inizia la sua attività musicale che, nel 2001, lo porterà a contribuire alla composizione dell’inno nazionale del suo Paese. Considerate le sue capacità e popolarità, il presidente Kagame gli offre l’opportunità di perfezionare i suoi studi musicali presso il Conservatoire national supérieur de musique et de danse di Parigi. Durante il periodo di studi ha modo di viaggiare tra Francia e Belgio, dove organizza concerti per la comunità ruandese che vive in Europa e conosce proprio Monsignor Léonard.

Poco prima di tornare in patria, il suo impegno per la pace e la riconciliazione raggiunge la pienezza attraverso la fondazione dell’organizzazione non governativa “Kizito Mihigo per la Pace” (KMP). Torna nel 2011 e viene accolto come volto nobile della nazione: difatti riceverà vari premi per le sue opere, tra cui quello di Jeannette Kagame, moglie del presidente; e nel 2012 condurrà un programma sulla rete televisiva nazionale.

Ma nel mese di marzo 2014 iniziano i problemi, che gettano sulla sua morte ombre di regime dittatoriale.

Mihigo realizza e pubblica un brano gospel, il quale gli fa guadagnare grande successo in tutto il Ruanda. Si intitola “Igisobanuro Cy’urupfu”/”Il significato della morte”; in questo canto commovente egli prega non solo per le vittime del genocidio contro i tutsi (abatutsi), ma anche per le vittime della violenza perpetrata dall’attuale governo ruandese prima di riconquistare il Paese nel e dopo il ‘94.

Però, oltre al successo, arriva la condanna governativa, che porta al bando del canto e all’arresto di Mihigo. Durante un processo farsesco, viene accusato di essere entrato in combutta – va sottolineato: l’accusa usa una presunta discussione via WhatsApp – con un membro dell’opposizione in esilio; ed è costretto a dichiararsi colpevole e chiedere perdono; ma il 25 febbraio 2015 lo condannano a 10 anni di carcere per tentata cospirazione ai danni del presidente. Da questo momento in poi la sua carriera subisce una stroncatura. È l’inizio di una dura persecuzione, culminata nel tragico ritrovamento del suo corpo senza vita. Quindi, la grazia concessagli (tra 2000 prigionieri rilasciati) dallo stesso Kagame nel settembre 2018 era priva di valore; anzi no, servì… ma semplicemente per tranquillizzare gli alleati internazionali (Stati Uniti in primis) che chiedevano maggiori tutele per la dignità del cantante e degli altri detenuti ruandesi, tra cui Victoire Ingabire, oppositore politico di alto profilo.

Ora dovrebbe essere chiaro che ci troviamo di fronte non a una fatalità, bensì a un caso di vera ingiustizia. A maggior ragione se si considera che le autorità pubbliche ruandesi hanno dichiarato, senza alcun accertamento ad hoc, che Mihigo si è tolto la vita; un gesto che lui non avrebbe mai commesso, perché certo della sacralità della stessa.

In base al diritto internazionale dei diritti umani, le autorità ruandesi hanno l’obbligo di condurre un’indagine approfondita e indipendente e di rendere conto di eventuali decessi in custodia. Come ricordano gli osservatori politici sopranazionali che da fine febbraio stanno denunciando l’accaduto; anche perché la morte di Mihigo, sotto la custodia del governo, non è un episodio isolato: il 25 febbraio 2015, presso la stessa stazione di polizia in cui il cantate è morto, è stato trovato esanime Emmanuel Gasakure, il medico personale di Kagame; nell’aprile 2018, Donat Mutunzi, un avvocato; il 21 settembre 2019, “stessa sorte è toccata” a un altro giovane, Kalisa Mupende (direttore generale ufficio del presidente fino al suo arresto, nel 2009). Questi si uniscono ad altri numerosi e conclamati atti di persecuzione arbitrària contro dissidenti e critici reali o percepiti tali dentro e fuori del Paese  (nei vicini Uganda, Kenya e perfino nelle più lontane in Sud Africa ed Europa). Ben documentati dall’organizzazione non governativa Human Rights Watch.

Tra gli osservatori non convinti della spiegazione ufficiale, vi sono Johan Swinnen, ex ambasciatore belga a Kigali (1990-94), il quale ha fatto sapere che «la morte del cantante ruandese Kizito Mihigo, un tutsi cattolico sopravvissuto al genocidio contro i tutsi, dove perse alcuni dei suoi parenti, incluso suo padre, ci ricorda l’eredità dell’ingiustizia e mancanza di rispetto per i diritti umani in Ruanda. Per i media belgi, con poche rare eccezioni, la sua morte non è assolutamente degna di menzione e ancor meno commenti o simpatia. Per quanto riguarda le reazioni del mondo politico belga, le stiamo ancora aspettando».

Tibor Peter Nagy Jr., sottosegretario di Stato aggiunto per gli affari africani negli Stati Uniti, ha chiesto un’indagine sulle circostanze della morte di Mihigo, giacché il governo ruandese non può concludere che Mihigo si è suicidato senza una previa indagine o un’autopsia. Allo stesso modo, Harriet Mathews, ambasciatrice britannica in Somalia e membro del Foreign and Commonwealth Office, ha richiesto un’indagine tempestiva, indipendente e trasparente sulle circostanze della morte dell’artista.

Si spera che questi appèlli, denunce (e quelli/e che sicuramente vi si aggiungeranno), possano rendere giustizia a Mihigo e alle altre vittime.

E che chiunque voglia “verità e riconciliazione” in Ruanda guardi in particolare ai frutti del suo retto operato, conseguenza di ideali di pace e giustizia in grado, davvero, di trascendere l’antagonismo etnico, regionale, culturale e linguistico; ideali di cui ha tanto bisogno il popolo ruandese per contrastare la polarizzazione del potere e la cultura del sospetto.

Soprattutto in vista del e durante il prossimo incontro dei 54 capi di governo del Commonwealth (il Ruanda ne fa parte dal novembre 2009), che si terrà proprio a Kigali in giugno e che includerà discussioni su governance e stato di diritto.

Daniele Barale

 

Per approfondire la storia del Ruanda e trovare le radici del genocidio:
https://www.limesonline.com/hutu-contro-tutsi-le-radici-del-conflitto-in-ruanda/60258

Kagame regna sull’incubo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

LASCIA UN COMMENTO  

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. Visualizza l'informativa privacy. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *