13 Novembre 2019
Intervista esclusiva al gesuita Guy Consolmagno, direttore dell’Osservatorio astronomico vaticano
Quando la fede guarda le stelle
L’allunaggio offrì la possibilità di guardare la Terra da un nuovo punto di vista, come un prezioso “puntino blu” tra tutti gli altri pianeti
Nel cinquantesimo anniversario dell’allunaggio abbiamo in intervistato il gesuita Guy Consolmagno che dal 2015 è direttore della Specola vaticana (l’osservatorio e centro di ricerche astronomiche della Santa Sede). Nato a Detroit nel 1952, Consolmagno ha conseguito un dottorato in astronomia al MIT e nel 1989 è entrato a far parte della Compagnia di Gesù. Tra i suoi libri preferiti “Harry Potter” e “Il signore degli anelli”. La sua ultima pubblicazione: “Battezzeresti un extraterrestre?”, scritto a quattro mani con il suo vicedirettore, padre Paul Müller.
Quando e perché fu fondato l’Osservatorio Vaticano? A quale scopo?
L’Astronomia era una materia obbligatoria per gli studenti che frequentavano l’università nel Medio Evo e con la riforma del calendario compiuta da Papa Gregorio XIII nel 1582 il papato faceva affidamento sugli astronomi dell’università di Roma per consigliarsi sugli argomenti astronomici; essi confermarono le osservazioni di Galileo. L’attuale Specola Vaticana nacque nel 1891 da un Motu Proprio di Papa Leone XIII, che affermava: «l’obiettivo è semplicemente che ognuno possa vedere chiaramente che la Chiesa e i suoi Pastori non si oppongano alla vera e solida scienza, sia umana che divina, ma le abbraccino entrambe, la incoraggino e la promuovano con la massima dedizione». Fu anche un modo eccellente per dimostrare che la Santa Sede era una nazione completamente indipendente dall’Italia con il suo proprio osservatorio nazionale, riconosciuto come tale da tutti gli altri osservatori astronomici nazionali.
Come si è evoluta l’attività del centro astronomico negli anni? Quali sono le principali attività scientifiche oggi?
Il lavoro è cambiato man mano che la scienza è progredita. Il primo grande progetto dell’Osservatorio fu partecipare alla compilazione dell’atlante internazionale delle stelle “Carte du Ciel”, ma alcuni astronomi approfondirono anche argomenti quali la posizione delle stele doppie. Mentre la scienza si evolveva, il personale cambiava, furono aggiunte nuove attrezzature (specialmente dopo il trasferimento dalle mura del Vaticano al palazzo papale estivo di Castel Gandolfo) e fu istituita una significativa nuova ala di laboratorio di osservazioni.
Oggi la ricerca coinvolge 12 astronomi. Ognuno di noi ha un dottorato conseguito in una diversa istituzione. I colleghi lavorano in campi diversi spaziando dalle teorie cosmologiche alla ricerche di ammassi di galassie, osservazione di stelle peculiari, di meteore e asteroidi vicini alla terra, e delle caratteristiche fisiche dei meteoriti. Voglio rimarcare il termine “ricerca”. Diversamente dai nostri colleghi noi non ci limitiamo a fare ricerca su ciò che può inserirsi nelle limitazioni temporali di un ciclo di finanziamento triennale. Noi possiamo completare il lavoro dei nostri collaboratori catalogando dati raccolti in 10 o 20 anni di ricerche. In questo modo lavoriamo in stretta collaborazione con astronomi provenienti da tutto il mondo, ma ci concentriamo nel fare un tipo di lavoro di cui tutti hanno bisogno, ma che la maggior parte delle persone non può fare.
Che cosa ha rappresentato l’allunaggio per l’umanità?
Ci sono tre cose fondamentali che l’allunaggio ha compiuto. Prima di tutto fu un segno di speranza: con uno sforzo intenso e la buona volontà di molte persone si realizzò qualcosa che sembrava veramente impossibile. Questo dovrebbe darci speranza nel poter risolvere i problemi come il cambiamento climatico di oggi. In secondo luogo fu un modo per pensare alla Terra e vederla da un nuovo punto di vista, come un prezioso “puntino blu” tra tutti gli altri pianeti. Ed infine, fu un memento che l’universo di Dio è più grande di ciò che noi possiamo vedere intorno a noi sulla Terra.
Scienza e teologia: queste due discipline sono in grado di dialogare sul tema dell’astronomia?
Il dialogo esiste sempre, anche con scienziati (o teologi) che non si rendono conto di farlo. La teologia è sempre stata fatta da persone che fanno supposizioni su come questo universo funzioni, anche se queste ipotesi sono cambiate radicalmente negli ultimi 2000 anni. La scienza, dal canto suo, è portata avanti da esseri umani che pongono domande basate su ciò che noi pensiamo sia importante e ciò che è considerato importante riflette anche le supposizioni filosofiche e religiose del tempo. La scienza e la teologia sono attività fatte dagli esseri umani, le cui opinioni e motivazioni sono basate su queste supposizioni culturali. Il dialogo ha luogo in ogni essere umano che lavora in questi campi.
Che cosa ne pensa della presenza di vita su altri pianeti e in altre galassie? Qual è la riflessione della teologia sulla possibilità di altre forme di vita intelligente nell’universo?
Mi viene domandato sovente se credo nella vita su altri pianeti, e la parola “credere” è corretta. Non ho prove che tale vita esista. Ma sono disposto a impegnare tempo e risorse nel cercarla, perché credo che possa esistere. E trovare vita altrove ci aiuterebbe immensamente a comprendere che cosa sia in realtà la vita sulla Terra. Qualsiasi cosa troviamo, sappiamo comunque che è la creazione di un Dio che è soprannaturale, più grande dello spazio e del tempo. Così, più sappiamo della creazione, più possiamo venire a conoscenza del Creatore.
Secondo alcune ipotesi scientifiche l’universo è destinato a raffreddarsi o a collassare su se stesso. Quali differenze o convergenze tra la fine dell’universo e l’escatologia Cristiana?
È molto difficile per l’immaginazione umana staccarsi dal contesto della nostra normale esperienza di tempo e spazio, e anche avere le parole per esprimersi. Ciò significa che sovente il meglio che possiamo fare è usare due differenti linguaggi che sembrano contraddirsi l’un l’altro ma che, tenuti in tensione, possono darci almeno un’idea di ciò che è la realtà.
Ma poiché Dio è soprannaturale, noi sappiamo che “la fine dei tempi” non può solo riguardare ciò che accadrà dopo che l’ultimo orologio smetterà di ticchettare, proprio come noi sappiamo che la creazione non è solo qualcosa che accadde al tempo del Big Bang. Spazio e tempo sono creazioni.
Detto ciò, faccio due riferimenti alle Scritture.
Il primo: Gesù parla sempre di “vita eterna” o “Regno” che sta per arrivare o è già presente. Il nostro Credo parla della resurrezione del corpo, e dice che Gesù ha un regno che non avrà fine. La creazione è importante, noi siamo creature e la nostra esistenza come tale è qualcosa di rilevante. Citando il fisico inglese e prete anglicano John Polkinghorne, «noi non siano angeli apprendisti». In altri termini: non siamo una sorta di creature spirituali intrappolate in un corpo fisico, ma piuttosto questo corpo fisico è una parte essenziale di cioè che noi siamo.
Il secondo: sappiamo che il “cielo e la terra” finiranno, ma la «mia Parola non passerà mai». Un altro modo per pensare a questo è rendersi conto che, proprio come le missioni lunari ci ricordano, l’universo è più grande del Pianeta Terra, così il nostro credo ci ricorda che la nostra esistenza è in un contesto più grande delle nostre vite quotidiane.
Questa tensione mi conduce alla più comune, ma importante, affermazione che qualsiasi scienziato può pronunciare quando affronta un problema complesso: non lo so. E so di non sapere.
E non so neanche se le nostre idee scientifiche su come l’universo si sia formato e su come finirà sia la migliore scienza di oggi in un periodo di mille anni, o cento, o nel prossimo anno. Posso usare le nostre attuali teorie per fare speculazioni, ma so anche che non devo prenderle troppo sul serio.
Come vive la sua vita religiosa in questa istituzione scientifica?
La mia vita religiosa dà tre cose alla mia scienza. Mi ricorda ogni giorno il perché sto facendo scienza: vengo a conoscere il Creatore nelle cose che sono state create, come dice San Paolo nel primo capitolo della sua lettera ai Romani.
Mi ricorda poi che lo scopo finale non è ottenere riconoscimenti, pubblicazioni o lodi dagli altri, ma conoscere un po’ di più la verità. E mi ricorda, infine, che una ogni scoperta che mi avvicina alla verità mi dona un grande gioia, quella che provo quando raggiungo un nuovo livello di comprensione.
La mia scienza dà tre cose alla mia vita religiosa. Mi ricorda che Dio avrebbe potuto scegliere molti altri modi differenti per creare, ma in realtà Dio ha scelto questo. È lo “scandalo della particolarità” che ci ricorda sempre di cercare Dio nel modo particolare in cui le cose appaiono, non nel modo generale in cui noi pensiamo che le cose dovrebbero essere. La mia scienza mi protegge dalla superstizione (come Papa San Giovanni Paolo II disse molto chiaramente nella sua lettera su scienza e la fede). La scienza, nonostante tutta la sua incompletezza, mi dà il coraggio di sperare che i miei sforzi per venire a conoscere Dio non siano vani. Dio non è così lontano o così in alto da non poter essere incontrato. Piuttosto a noi umani è stata data la possibilità di conoscere, almeno in piccola misura, un assaggio della magnifica presenza di Dio.
Patrizio Righero
Consulenza alla traduzione
Anna D’amico e Luca Rubin
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