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Approfondimenti  

Il dolore di chi fugge dall'Ucraina nella testimonianza di Manfredo Pavoni Gay

Il dolore di chi fugge dall'Ucraina nella testimonianza di Manfredo Pavoni Gay

Manfredo Pavoni Gay è un insegnante del Cpia 5 di Pinerolo (scuola per stranieri adulti), che a fine marzo, insieme alla collega Serena Maccari e a Hocine Sellami, è partito alla volta del confine tra Polonia e Ucraina per portare aiuti ai profughi lì accampati. E soprattutto per accompagnare in Italia alcune famiglie ucraine. Per questo Manfredo ha attraversato il confine e raggiunto Leopoli e nella testimonianza qui sotto racconta la realtà che ha incontrato.

Manfredo con la famiglia ucraina che ha accompagnato in Italia

Il centro profughi di Prezmlys

Come insegnanti del Cpia 5 di Pinerolo la scuola di italiano per adulti stranieri, abbiamo deciso di andare in Polonia nel centro profughi di Prezmlys a pochi chilometri al confine con l’Ucraina per portare cibo vestiari e medicinali con due pulmini. Il centro profughi si trova all’interno di un enorme centro commerciale vuoto dove vivono stipati circa 3500 profughi. All’esterno i pullman, le auto, i camper dei volontari; c’è una tenda rossa nella quale ci si registra come volontari e si ottiene un pass per poter accedere all’interno del centro e un’altra tenda verde dove si offrono i passaggi nel paese di provenienza in modo da connettere le famiglie che vogliono andare in Italia, in Austria in Norvegia in Portogallo o in in Italia con coloro che provengono automuniti da questi Paesi.

Donne, bambini, anziani in cerca di un passaggio

Ci sono molte associazioni di base Ong e per l’Italia un gruppo della protezione civile di Melfi che gestisce una enorme magazzino in cui sono stati allestite brande per permettere ai profughi di dormire. Ogni giorno arrivano centinaia di profughi donne, bambini, anziani (gli uomini dai 18 ai 60 anni infatti non possono abbandonare l’Ucraina) per poi cercare di trovare passaggi per i vari paesi europei.

 

Le notti insonni

Ho passato otto giorni a lavorare nel centro e a dormire – o meglio non dormire – coi profughi; notti intere tra centinaia di persone ammassate una sull’altra: bambini che di notte piangono, mamme che di notte coi loro telefonini cercano notizie dei parenti rimasti in Ucraina, dei mariti rimasti a combattere. Insieme a questa umanità senza più casa e sicurezze, ci sono anche i cani e gli uccellini in gabbia e fa effetto vedere questo pezzo di umanità trasferito a vivere in un grande magazzino.

 

La storia di Ludmilla

Ludmilla è una ragazzina di dodici anni che, insieme ai nonni, dorme vicino alla mia branda e ci conosciamo perché i due cani abbaiano forte ogni volta che mi muovo nella branda. Ha perso entrambi i genitori a Kiev, studiava al conservatorio ed ora sta cercando coi nonni di raggiungere la Germania. Quando mi racconta l’ultimo suo mese a Kiev – praticamente passato nei rifugi, le notti insonni tra topi, uomini anziani, malati che tossiscono per il freddo – mi sembra di essere davanti a una nuova giovane Anna Frank, che racconta la guerra con un linguaggio chiaro e preciso. I genitori per fortuna nella prima settimana di bombardamenti l’hanno mandata a Odessa dove il nonno fa il pescatore. Grazie a questa scelta Ludmilla non è morta insieme a loro nei bombardamenti.

 

Migliaia di persone e quattro bagni

Durante il giorno lavoriamo coi bambini, suonando la chitarra o facendoli giocare oppure diamo una mano in cucina dove pochi volontari tutto il giorno fino a mezzanotte devono preparare e servire pranzo e cena per migliaia di persone. I bagni sono solo quattro e sono bagni chimici per accedervi bisogna mettersi in fila per ore.

 

Volti e odori di chi fugge

Si fatica anche a raccontare quel che si vede e quel che si sente; è proprio vero che la guerra non la puoi comprendere seduto sul divano di casa davanti alla tv o leggendo gli articoli di un giornale.

Qui la incontri nei volti, negli odori delle persone con cui vivi, nei profughi stralunati che sono appena arrivati, nelle vecchiette con i loro cagnolini al guinzaglio, nelle famiglie con i bambini, alcuni sulla sedia a rotelle, altri con la sindrome di down che fanno ancora più tenerezza. E su questi visi scorgi il dramma di un conflitto ignobile senza alcuna ragione, un conflitto che dimostra che l’umanità non è cresciuta in nulla, se non negli aspetti tecnici economici ma mai nella capacità di risolvere i conflitti in modo pacifico per evitare morte e dolore di donne, uomini e bambini.

 

La partenza per Leopoli

Dopo otto giorni decido di partire per Leopoli perché dall’associazione Giovanni XXIII – che opera per selezionare e organizzare la raccolta dei profughi diretti in Italia – mi dicono che c’è una famiglia (una mamma con due gemelline di 11 anni) che sta cercando di uscire da Kiev in treno per raggiungere Villar Perosa, dove un’altra famiglia di amici è già ospitata da famiglie italiane del pinerolese.

 

La quiete e l’attesa

Alla frontiera, mentre quasi nessuno entra in Ucraina, una fila di centinaia di auto e molte persone a piedi cercando di entrare in Polonia. Leopoli sembra ancora una città relativamente tranquilla, anche se quando arrivo nella sua periferia un ponte vicino all’aeroporto viene bombardato e la colonna di fumo si vede fin dalla strada per entrare in città. Nel centro storico le persone passeggiano in attesa di qualcosa che potrebbe succedere: ci sono dei ragazzi che suonano violini e chitarre, ma alle otto di sera la citta si svuota per il coprifuoco e nella notte suonano le sirene e dobbiamo correre nelle cantine dell’hotel.

 

Chi è costretto a restare

Durante il giorno mi contatta un ragazzo che viveva in Italia, per alcuni mesi era tornato a Leopoli e ora è costretto a restare nel paese pur avendo il permesso di soggiorno e i documenti italiani. Non può lasciare l’Ucraina anche se al telefono mi dice che non vuole fare la guerra; gli offro il passaggio insieme alla famiglia che sto aspettando da Kiev, ma mi dice che è troppo pericoloso sia per lui che per me cercare di passare la frontiera.

 

Tatiana e le due gemelle

Dopo due giorni di viaggio tra esplosioni continue lungo la linea ferroviaria, Tatiana e le figlie finalmente arrivano alla stazione di Leopoli e il giorno dopo ci mettiamo in fila tra le migliaia di macchine che lasciano la città. Dopo due giorni e mezzo di viaggio mamma e gemelle sono finalmente al sicuro a Villar Perosa.

Manfredo Pavoni Gay

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