31 Gennaio 2018
Africa: non possiamo stare a guardare

“Africa Schiava” è il titolo con il 25 novembre 2017 di Vita Diocesana ha dato la notizia dell’intervento militare che ha destituito il dittatore dello Zimbabwe Mugabe. L’articolo sottolinea la precaria situazioni economico-politica di pressoché tutto il continente africano. Causa di questo sfacelo la leadership africane in gran parte poco attente agli interessi nazionali, piuttosto orientate a servirsi del controllo sulle istituzioni politiche per fini ed interessi privati, con il favore di un clima di corruzione dilagante. In altre parole attualmente a schiavizzare l’Africa sarebbero gli stessi africani, con la compiacenza di chi, come la Cina, non disdegna di comprarsi l’Africa.
Diagnosi e rimedi parziali
Dire che l’Africa è schiava di se stessa ha sicuramente un fondamento di verità; ma chiediamoci se non ci siano anche altre responsabilità da accertare.
Circa i rimedi per arginare i problemi ritengo anch’io che sia ingenuo limitarsi a sperare in un “ravvedimento” dei governi africani. Che questo ravvedimento si possa ottenere sospendendo gli aiuti di cooperazione allo sviluppo e i contributi finanziari in genere mi sembra improbabile. Questo perché sospendendo gli aiuti a farne le spese forse non sarebbero le leadership africane opportuniste, bensì la popolazione più debole e indifesa. Questo potrebbe indurre questi “disperati” (né santi, né demoni, ma uomini) a cercare la strada della sopravvivenza andando ad aumentare il primato africano del maggior numero di profughi.
Ma allora che fare?
Forse la premessa per risolvere i problemi è conoscere e far conoscere tutti i dati che li hanno determinati. Far leva solo sulle negatività: «la dittatura dei dittatori», e parlare arbitrariamente di «colonialismo che non c’era e non c’è» è un approccio improduttivo. In Zimbabwe c’è stato un colonialismo spietato, attuato attraverso una serie di leggi, di discriminazione razziale, che comportarono il saccheggio (da parte dei colonialisti bianchi) della terra, lo schiavismo salariato, la discriminazione scolastica e sanitaria, i villaggi protetti.
Non si può dimenticare la guerra di liberazione con tutte le sue nefandezze e i problemi irrisolti che ha lasciato e che Mugabe non ha saputo gestire senza far ricorso a violenza.
Un esempio di problemi irrisolti e mal gestiti è il possesso della terra e delle sue ricchezze. Di chi sono i beni della terra? Forse bisognerebbe capire che l’appropriazione della terra da parte del singolo, sia esso individuo o gruppo o popolo, non costituisce un «diritto incondizionato e assoluto» (Populorum Progressio, 23). Il patrimonio comune dell’umanità (ricchezze vegetali, minerali, fonti d’energia-lavoro dell’uomo) deve essere gestito (non ha importanza se privatamente o collettivamente) come tale e pertanto a beneficio di tutti. Le persone e le cose non vanno opportunamente tesorizzate e sprecate (usa-getta), ma valorizzate per il benessere di tutti, non solo quello economico di pochi.
In generale, il fatto di riconoscere che il problema esiste ed è complesso è già un primo passo. Tutte le persone di buona volontà possono convivere (e di fatto molti lo fanno) per individuare soluzioni ai vari problemi che affliggono l’umanità. Sono coloro che hanno capito che «non bisogna lasciarsi vincere dal male, ma vincere col bene il male (Rom. 12,21)».
«Non potevo lasciare solo quell’uomo!», è quanto diceva mio padre per spiegare la sua decisione di accompagnare un suo compaesano sequestrato (nell’agosto del 1944) dai nazisti per far loro da guida sulle montagne di Rodoretto. Mio padre era consapevole di rischiare (come il suo amico che «tremava come una foglia») di essere preso tra due grandi fuochi se si fossero imbattuti nei partigiani. «Non potevo lasciare solo quell’uomo!» è la frase che descrive anche la situazione e l’atteggiamento della mia amica Luisa Guidotti-Mistrali, durante la guerra dello Zimbabwe. Anche lì tra i due fuochi c’erano i civili. Anche Luisa sentiva che il suo posto era essere presente, non lasciare sola la povera popolazione della Rhodesia; e pagò con la vita questa sua decisione (John Thurston Dove, Luisa Guidotti-Mistrali, Un medico per l’Africa, 1989, Città Nuova Editrice).
Ora la situazione economico-politica dell’Africa è precaria, forse non drammatica. Ma di fronte ai problemi di quelle popolazioni e ai rischi sanitari, possiamo stare a guardare?
Ines Breusa
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